giovedì 20 ottobre 2016

Arcumeggia, il paese degli affrescatori popolari

Una domenica mattina.
Gli dico: "Ci pensi tu?" Mi dice: "Ci penso io." Gli dico: "Dunque?" Mi dice: "Dunque ti porto ad Arcumeggia."

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Arcumeggia è una frazione di Casalzuigno, si trova in Valcuvia, nel Varesotto, ed è famosa per i suoi muri d'autore. 
La sua storia è fiabesca: negli anni Cinquanta il paese giace quasi disabitato, destinato a scomparire dalla memoria, finché delle persone illuminate, armate di cultura, ingaggiano una battaglia contro l'inevitabile abbandono dei luoghi montani, e vincono. Così Arcumeggia riprende vita, vigore e colore: ospita una scuola di pittura tenuta dagli artisti più noti e una mostra permanente a cielo aperto con le opere di maestri e allievi, le cui tele sono i muri stessi delle case. 

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Lui è il Bocc, cioè il caprone.
Ha vissuto a lungo da queste parti, tanto da diventarne simbolo dell'economia montana.

Ed eccoci in moto verso Arcumeggia: costeggiamo le rive lombarde del Lago Maggiore, alla casa ricoperta d'edera svoltiamo verso la chiesa romanica di Brebbia, attraversiamo il centro di Besozzo, salutiamo la maestosa Villa Della Porta Bozzolo a Casalzuigno, lasciamo la strada principale e saliamo verso la piccola frazione. Dopo quattordici tornanti, ci siamo.

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Il parcheggio è dietro la fermata dell'autobus, di fronte alla casa che ospita la Pro Loco. Entriamo qui, chiediamo informazioni per seguire il percorso dei muri d'autore e ci consegnano una mappa e un cubetto-audioguida. 
Dopo un pranzo veloce sotto gli alberi, inizia la nostra passeggiata guidata alla scoperta di questo piccolo gioiello.

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Saliamo per scale di pietra, entriamo in cortili privati (sfidando cani al sole - guardiani indomabili) e osserviamo la bellezza dell'arte e della natura legate assieme. Si sale e si scende, si legge, si ascolta e si cerca, mentre gli abitanti di quei cortili preparano le valigie (domani inizia la scuola), si danno l'arrivederci alla prossima estate, mostrano i lavori di ristrutturazione nella casa dei nonni, si riposano al tepore che entra dalle finestre.
È un paese vivo all'ennesima potenza: nei suoi ricordi, nel passato contadino, nei suoi abitanti, nella curiosità dei visitatori (nessuno di quelli incontrati parla italiano), nella natura montana, nei suoi muri d'autore che continuano a raccontare la loro storia.

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Buon vento, colorato e illuminato

giovedì 13 ottobre 2016

Roma, dove il (mio) passato s'incontra con il presente

Roma, venerdì 7 ottobre

Siamo partiti una mattina freddissima, molto prima che l'alba mostrasse i lineamenti del paesaggio. Due persone, due bagagli, due destinazioni importanti: il Museo Nazionale Preistorico Etnografico Luigi Pigorini all'Eur e la Città dell'Altra Economia al Testaccio. 
Rappresentano il mio passato e il mio presente, assieme s'intrecciano e danno forma al mio futuro.

Arriviamo a Roma poco dopo l'acquazzone: pozzanghere immense obliterano i marciapiedi, mentre, con i bagagli al seguito, raggiungiamo il museo Pigorini.
Quindici anni fa, nel laboratorio di Paletnologia, ho disegnato i materiali della Collezione Quaglia per la mia tesi. Oggi incontro chi mi ha seguito in quei giorni e mi ha insegnato con pazienza e gentilezza a "fare l'archeologa". Nulla è cambiato: i miei ricordi riconoscono i luoghi, i volti, le voci e le personalità di chi ho frequentato per settimane.
In realtà tante cose sono cambiate: ora fa parte del Museo delle Antichità, assieme al Museo Nazionale d'Arte Orientale Giuseppe Tucci, il Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari e il Museo Nazionale dell'Alto Medioevo, e le recenti riforme ne hanno mutato la "geografia" interna.
Ricordo l'orgoglio di lavorare in questo grande e importante museo: fondato nell'Ottocento - il secolo della nascita dei primi musei archeologici in Italia e nel resto d'Europa - dal combattivo e lungimirante archeologo emiliano Luigi Pigorini col nome di Museo Preistorico, Etnografico e Kircheriano di Roma, diventa subito uno dei punti di riferimento dell'archeologia preistorica italiana e europea.
Ricordo la felicità di fare ricerche in biblioteca, negli archivi epistolari del Pigorini, di ricostruire un pezzetto di storia. Di sentirmi di nuovo bambina davanti alla Storia.

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Percorriamo le sale del museo preistorico in una visita guidata speciale: dalle origini dell'umanità al Neolitico e, infine, alle età dei metalli. Nella vetrina dedicata alle civiltà dell'età del Ferro, riconosco alcuni reperti della "mia" collezione: è come se, in mezzo a quegli oggetti carichi di storia, ci sia pure un pizzico di me e della mia storia ancora giovane.

Sono felice di essere tornata, di aver ritrovato studiosi indomiti e capaci di lavorare sempre con passione (nonostante la vita reale), di essere stata accolta con calore e con la prospettiva di nuovi progetti.
Sono felice, anche, di aver mostrato a mio marito una parte di quel mondo che ho tanto amato - e ancora amo.

E poi, via, ci spostiamo verso la Città dell'Altra Economia, verso una nuova avventura!

giovedì 6 ottobre 2016

Il lungolago di Pettenasco è una mostra di quadri viventi

C'è una foto che mi torna spesso in mente. Ero a Spello con amici, tanti anni fa; io vedevo scorci bellissimi e li fotografavo, loro, frequentatori del luogo, non li notavano nemmeno.
Quella foto mi torna in mente ogni volta che visito luoghi conosciuti - o che dovrei conoscere: quel gusto della scoperta e lo stupore per i dettagli c'è ancora. 

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La passeggiata di domenica scorsa ci porta a Pettenasco, sulla riva orientale del lago d'Orta. Non ci siamo mai stati (abbiamo un debole per il Lago Maggiore) e non vediamo l'ora di percorrere il lungolago: ne parlano tutti bene.
La strada provinciale attraversa il paese in pochi minuti, tagliandolo in due: da una parte il grande albergo, la chiesa d'origine medievale e qualche villetta a schiera, dall'altra negozi e case di paese. La stazione in alto e il lungolago in basso sono nascosti, bisogna proprio cercarli.
Parcheggiamo vicino alla chiesa e scendiamo verso il lago: un parco giochi dove sostiamo per un giro di carezze di bimbi al Baldo, un campo da tennis nascosto dagli alberi, ricche ville, giardini invitanti, una festa di fine estate e, infine, al termine della via c'è Riva Pisola, con l'imbarcadero della Navigazione e un bivio. A destra si va verso la passeggiata a lago tratto nord, a sinistra verso la passeggiata a lago tratto sud. Svoltiamo a destra.


La passeggiata si snoda tra le ville e le loro darsene, ogni tanto si aprono degli spiazzi erbosi - le ripe - con panchine, sculture moderne e pontili di legno che si protendono verso l'acqua e l'infinito. Ogni ripa è un piccolo gioiello, le vedute sul lago sono come quadri viventi, con lo sciabordio delle onde e i gabbiani che s'inseguono. 
Alla fine del lungolago non torniamo indietro sui nostri passi, ma svoltiamo a destra e saliamo lungo una via e poi ancora a destra - vecchie case già locande, antiche ville abbandonate in un caos di piante e rovi, altre ristrutturate e vissute - fino a ritrovarci alla chiesa e più giù al bivio di prima. Svoltiamo a sinistra.

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Si sfiorano case moderne, un bar invitante, una casa in costruzione, una ripa con pescatori e qui, all'altezza di una fontana e una panchina, inizia la passeggiata a lago tratto sud. 
Un sentiero si snoda tra altre ville e la sponda del lago. Una scaletta di pietra scende a una passeggiata più stretta, riparata da un pergolato - un rifugio per innamorati; poi un ponticello, poi un altro, e tra i due si apre uno spiazzo con due divani di pietra, alle spalle un parco giochi e lunghi tavoli sotto le fronde degli alberi. Ci spingiamo più in là, oltre il campeggio, fino a un'altra ripa sabbiosa, dove un'enorme fionda di pietra invita a volare.

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Il lungolago è davvero un gioiello, curato in ogni minimo dettaglio per godersi la passeggiata: dagli scorci "artistici" sul paesaggio, alle tante soste per ammirare, fino all'abbondanza di cestini per rifiuti - un'accortezza molto gradita a chi è solito "girare in giro" coi propri cani.

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Torniamo indietro, risaliamo al parcheggio e ci ripromettiamo di tornare: nelle mezze stagioni, però, quando i turisti sono pochi e si può fingere che il lago ci appartenga.

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Buon vento

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