lunedì 29 giugno 2015

Il giro del Lago d'Orta in moto

E poi, finalmente, arriva il Giorno della Moto. Il sole è alto e caldo, il cielo terso e ravvivato da un venticello piacevole, la moto è pronta: si parte! Destinazione: giro del Lago d'Orta.
Un giro breve, tanto per rodare i muscoli e lasciarsi tutto alle spalle - anche solo per un paio d'ore. Esiste anche un programma: una paio di soste lungo la strada per scattare qualche fotografia ai muri dipinti, una pausa gelato rinfrescante, un rientro tranquillo a casa con gli occhi ancora pieni di blu e di verde.
Però... Però per noi la moto non è un mero mezzo di trasporto, un motore su due ruote per arrivare in un posto e poi tornare: per noi la moto è il viaggio. Quando si sale in sella vien difficile fermarsi, vogliamo più profumi, più strada, più colori, più vento sul corpo!
Perciò mettiamo il programma in tasca e ce ne dimentichiamo: sarà per il prossimo giro.

È un viaggio fatto di continue discese e salite, curve, tornanti e qualche rettilineo. La strada che gira attorno al lago ne segue l'andamento: ci porta su strampiombi, versanti di colline, ponti che uniscono le sponde di torrenti, prati estesi, tra boschi di latifoglie e boschi di pini, in mezzo alla natura, e subito dopo una curva nel centro di paesi turistici, accanto al luccichio blu scuro del lago e lontano da lui.
La felicità scorre nelle mie vene come il vento sui nostri caschi.

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Dal Vergante scendiamo verso Gozzano, per poi salire sulle colline di Pogno: il paese dei muri dipinti è la nostra prima tappa. Ma non ci fermiamo, c'è una festa che riempe la piazza e ci passa la poesia: muri dipinti, ci vediamo la prossima volta!
Riprendiamo la strada che scende verso San Maurizio d'Opaglio e proseguiamo sulla Strada Occidentale del Lago d'Orta, che prosegue sulle colline verso Omegna, a nord. Questo è il cuore del distretto industriale del rubinetto: grandi edifici moderni, con giardini curati e ingressi sontuosi, belle case moderne dai colori vivaci - c'è aria di operosità, di benessere e di una tradizione artigiana trasformatasi in produzione d'eccellenza, famosa in tutto il mondo. Ma ci sono anche capannoni dismessi e cartelli "affittasi" appesi storti in un angolo della cancellata.
La strada sale, il lago si nasconde alla vista, ma quando arriviamo ad Alzo di Pella rimaniamo abbagliati dal paesaggio - come una finestra che, dalla piazza principale, si apre sul mondo. Ci fermiamo per ammirare il panorama e scattare qualche fotografia, e fatichiamo a staccare gli occhi da questa immensità blu bordata di boschi. Siamo quasi nel centro della sponda occidentale del Lago d'Orta, a sinistra scorgiamo la punta settentrionale con Omegna; a destra la Torre di Buccione alta sopra il golfo di Gozzano; di fronte si staglia l'Isola di San Giulio e nasconde in parte il paese di Orta.
Riprendiamo la strada in collina - le case signorili con una bellezza d'altri tempi s'alternano a case rustiche di pietra e legno a vista, un paese dopo l'altro - e in poco tempo arriviamo a Omegna, dove il lago finisce e il torrente Nigoglia raccoglie le acque portandole verso nord e sembra che scorra al contrario. Che posti magici, questi. 
Da qui ritorniamo indietro lungo la costa orientale, sulla Strada del Lago d'Orta, un nastro sinuoso affacciato sulle onde, tra orde di bagnanti ignudi e gruppetti di vecchie amiche col golfino appoggiato sulle spalle. Quando avvistiamo il minareto di Villa Crespi, svoltiamo verso il centro di Orta San Giulio e ci concediamo una pausa rigenerante a base di gelato: sotto una pergola di uva americana, assieme ad altri motociclisti e a famiglie in gita.

Il giro del Lago d'Orta è completo, ma noi vogliamo di più: salire e scendere le colline per raggiungere il Lago Maggiore. Quindi, via!, verso la frazione di Legro - un altro meraviglioso paese dai muri dipinti, dove incontriamo un pastore con due caprette (bellissime!) -, Armeno, Miasino, sfioriamo le falde del Mottarone, Gignese e infine Stresa. La strada si chiama Due Riviere e nasconde paesaggi che riempiono gli occhi di luce e le narici di profumi indimenticabili: boschi ombrosi, freschi e umidi, prati gialli costellati di piccole balle di fieno, aree attrezzate per il picnic presso torrenti dai nomi curiosi, una pista da motocross, case di pietra con balconi di legno, cascine abbandonate sul ciglio della strada, gruppi di case che diventano paese, legna che arde (stasera grigliata!), l'odore pungente degli aghi di pino, ristoranti, alberghi, bar con ombrelloni colorati, ville signorili di ogni epoca, e poi il lago.
Ci avvolge in un abbraccio d'aria calda, pesante e umida, e ci segue lungo la strada del ritorno, verso Arona e poi su fino alle colline del Vergante, dove ci aspetta il Baldo per una passeggiata serale. Ciao odore pungente di lago, ciao bellissime ortensie variopinte, ciao ville centenarie della Sponda Grassa, ciao vele bianche sull'acqua!

Buon vento a tutti i motociclisti della domenica

giovedì 25 giugno 2015

Tempi lontani nel Novarese

La cosa più bella della storia è la sua profondità: si può stare in superficie e seguire l'evolversi e l'intersecarsi delle grandi onde; oppure ci si tuffa in un luogo, lo si osserva nei particolari e nel susseguirsi delle sue vicende: proprio quel che vorrei fare con il territorio in cui vivo, il Novarese, per la rubrica Tempi lontani.

È affascinante scoprire come ogni cosa concorra a formare il tutto, e come il tutto non possa essere tale, se solo ne manca un pezzo - seppur piccolo.
Il Piemonte sulle carte geografiche assomiglia a un cavallo da battaglia con il suo cavaliere. Un tempo il territorio di Novara occupava tutta la parte del muso del cavallo e dell'elmo col pennacchio del cavaliere - là in alto, nell'estremità nord-orientale. Ora, invece, il Novarese si è ridotto al solo muso del destriero. 

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Il Novarese è formato da tre aree geografiche diverse: il Vergante in alto, le colline nel mezzo e la pianura in basso. Ma tutte sono legate da un unico elemento, che scorre liquido come un nastro brillante: l'acqua - dei due laghi, dei due fiumi principali (il lago Maggiore e il Ticino a est, il lago d'Orta e la Sesia a ovest), dei torrenti, dei canali, delle rogge e, infine, delle risaie.
L'acqua è nutrimento, abbondanza di flora e fauna, sicurezza; è anche movimento e scambio di persone, idee, scoperte, conoscenze, materie prime e prodotti finiti. Un ambiente ricco di risorse naturali, infatti, attira interi gruppi di famiglie - che siano gli abitanti delle grotte paleolitiche del Monte Fenera o i proprietari delle seconde case odierne sulle rive del lago.

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Terra, acqua, strade di passaggio, abitati residenziali, eccellenze, agricoltori, artigiani, commercianti e viaggiatori: questo è il Novarese. Il suo paesaggio è un libro lunghissimo: racconta come, nel corso del tempo, il rapporto tra la natura e i gruppi umani sia cambiato, evoluto e abbia preso forma. È una storia infinita e l'ultima pagina non è ancora stata scritta.

Buon vento e buon viaggio nel tempo

giovedì 18 giugno 2015

La Rocca Borromea di Arona. Con occhi nuovi

Un paio di mesi fa mi hanno chiesto: ti è mai capitato di sentirti una turista nella tua città? Mi capita ogni volta ed è per questo che scrivo dei miei luoghi del cuore: li riscopro da poco, ma li amo da sempre - ora con un tocco di consapevolezza in più.
Uno dei miei preferiti, di quelli che ogni volta mi lasciano senza fiato e mi riconnettono con tutto ciò che conta nella vita, è la Rocca Borromea di Arona. E ogni volta ne scopro un particolare in più.
 
Ti presento la Rocca Borromea di Arona. Si trova su uno sperone di roccia, domina la parte bassa del lago Maggiore e guarda diritto il castello di Angera sull'altra sponda.
Una volta era una fortezza militare, passata di mano in mano prima dei signori di Milano, poi dei Borromeo (si dice che qui sia nato San Carlo Borromeo), quindi degli spagnoli e, infine, degli austriaci e dei francesi. Ora ne rimangono solo le rovine, perché Napoleone Bonaparte decise di abbattere la fortezza per non farla cadere in mano ai nemici. Usò le sue pietre per costruire la strada del Sempione, per unire Parigi a Milano.
Ricordo di essere stata al Parco della Rocca Borromea da piccola: hai presente? I ricordi dei bambini sembrano vecchie cartoline, coi margini arricciati e i colori alterati: vedo il grande prato coperto di margherite, le oche nello stagno e l'azzurro del cielo, e provo gioia. Ci sono stata anche da ragazzina, ma ero totalmente concentrata sui miei pensieri da dar per scontata la bellezza e la storia racchiuse in quell'unico spazio. Per tanto tempo non ci sono più andata: abitavo in un'altra città, lavoravo, avevo impegni "da grande".
Ci sono tornata due o tre anni fa con mio marito e il nostro cane. Nonostante il suo incanto e i miei ricordi, mi è apparso diverso: non più solo un rifugio personale, ma anche un punto d'osservazione di questa aprte di mondo. Ho assaporato la sua atmosfera e molto altro: il profumo della terra umida e delle piante spontanee che crescono lungo i margini del parco; il blu intenso del lago, il disegno delle sue coste viste dai diversi panorami; la planimetria di Arona fatta di tetti arancioni, strade grigie e inaspettati triangoli e rettangoli di verde; gli animali del parco (asini, capre tibetane, anatre, papere, tartarughe, farfalle e insetti laboriosi); il verde fresco dell'erba e il verde ombroso degli alberi; i sentieri che raggiungono il centro cittadino e le sponde del lago... Soprattutto le rovine della fortezza, ancora maestose con i loro occhi aperti sul cielo e i tanti segreti della storia che porteranno sempre con sé, nascosti tra le pietre.

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Se sei di passaggio da queste parti, fermati al Parco della Rocca Boromea: è un luogo magico sospeso nel tempo e nello spazio, un piccolo regalo da godere da sola o con la persona amata, gli amici e la famiglia. Il momento migliore è nel tardo pomeriggio, quando i bambini lasciano le altalene e frenano le corse nei prati: se vedi due adulti e un cane che assaporano un aperitivo vista lago, siamo noi. Stiamo facendo il pieno di serenità, bellezza e un pizzico di gioia.

Buon vento!

giovedì 11 giugno 2015

Quante storie raccontano le pietre di Invorio


Il tempo è clemente: sole al momento giusto, aria fresca e pioggia notturna a mitigare i bollori. Giugno non poteva iniziare meglio di così.
Solo un paio di giorni sono piuttosto caldi, proprio quei giorni in cui l'uomo nel cortile al centro del paese inizia a spostare le pietre: prima dal cortile al giardino, poi dal giardino al cortile.
Metro dopo metro, rompe col piccone lo strato di terra mista ad asfalto e cemento, solleva i ciottoli di fiume, li ammucchia in un angolo. Poi li pone nella carriola, esce dal cortile, entra nel giardino e li rovescia nel punto più lontano dalla casa grigia. Quando libera tutta la superficie del cortile, va in giardino, pone nella carriola le pesanti lastre di pietra (accatastate da anni contro il muro del vecchio casolare), esce dal giardino, entra in cortile e le deposita una a una sulla superficie brulla del cortile.
Impiega sette giorni, e la storia non è ancora finita.

L'uomo delle pietre è mio marito; il cortile, il giardino e la casa grigia sono nostri da ormai otto anni. I ciottoli di fiume e le lastre di pietra sono parte della nostra casa, vecchia di almeno un secolo e mezzo: li hanno posati i primi proprietari, contadini dell'Ottocento, e sono saltati fuori durante i lavori di ristrutturazione. Il paese è Invorio.
Mentre osservo questo andirivieni di pietre, non posso fare a meno di pensare alla loro storia e alla storia dell'antico quartiere in cui ora abitiamo.

Si chiama Müntrigisc e corrisponde al piccolo poggio tra la Porta Fura e la Porta Vigana del borgo medievale. Il punto più alto è il Belvedere. Un tempo si trovava nell'estremità sud-orientale del borgo, poco distante dalla cinta muraria del castello dei signori e dal pascolo che si estendeva subito fuori. 

Casa nostra è stretta dalle antiche case medievali: hanno muri in pietra larghi anche un metro e si affacciano sul vicolo angusto, che dai piedi del poggio arriva fino in cima. Qui c'era un pozzo per servire la comunità - ora è murato. Poco prima del pozzo si apre un arco, sull'arco una scritta indica con una freccia leggera la via per riposarsi all'osteria Belvedere. Oltre l'arco un androne conduce a due cortili: alla fine di uno di questi c'è il nostro e nascosto dal fianco della casa grigia c'è il giardino.
Qui spesso sogno di viaggi in luoghi lontani, di incontri con persone sagge, del luccichio delle acque - di lago o mare o naviglio.

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Casa nostra è stata costruita molti secoli più tardi, dopo la signoria dei Visconti, dopo lo scompiglio portato dalle truppe dei Savoia durante la guerra tra francesi e spagnoli, molto dopo: alla fine dell'Ottocento, proprio quando la placida quotidianità del mondo contadino è sconvolto dalle migrazioni stagionali dei nuovi artigiani specializzati. I giovani s'inventano nuovi lavori, diventano esperti e per offrire le proprie conoscenze si trasferiscono negli Stati Uniti d'America, in Svizzera, in Francia e America Latina: via, sulle navi! Tra gente nuova, lingue sconosciute, fanciulle dai lineamenti diversi, il lusso di signori stranieri, lo scintillio delle città!
Costruita sull'unico terreno in piano, al limitare del declivio del poggio, ha mura spesse di pietra e angoli acuti o ottusi, ma mai retti. Il giardino era diviso in quattro riquadri e la casa in due proprietà - forse due rami della stessa famiglia col tempo si sono allontanati fino a spezzarsi. Noi li abbiamo riuniti in un'unica cosa.

Quante storie le pietre sanno raccontare. Quante cose racconteranno di noi alle famiglie che abiteranno qui nei prossimi secoli.

Buon vento!

P.S. Una volta la casa grigia era rosa: avrei tanto desiderato rinnovare il suo colore originale, ma la burocrazia di oggi tutela i centri storici senza sentimentalismi. L'ha voluta grigia, ma per me sarà sempre Casa Rosa.
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D. E. Bonelli, Invorio. Sguardi sul Novecento, EOS Editrice, Angera 2001
M. L. Oioli (a cura di), Invorio Invò. Un passato... presente. Centro storico e Beni culturali, Comune di Invorio, Invorio 2001

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