lunedì 14 ottobre 2019

Pro e contro delle casanze

Non tutte le vacanze sono vacanze. 
  L’ultima volta che siam partiti con cane, macchina e bagagli, pensavamo di andare in vacanza e ci siamo trovati in cacanza (= vacanza di *****): scale ripidissime, muratori alle finestre, olezzo di pesce (dalle cucine del ristorante al piano terra) e, dulcis in fundo, scarafaggi anche nei cassetti. Abbiamo rifatto i bagagli, salutato il mare, raccolto la bile e siamo tornati a casa: scale agevoli, finestre aperte, aria fresca e solo qualche zanzara. 
  Da quel giorno zero vacanze per noi, ma solo casanze (= vacanze a casa).

Le casanze, soprattutto per chi ha l’ufficio in casa come me, non sono entusiasmanti, né promettono grandi avventure. In compenso sono rilassanti e, proprio perché non generano aspettative, sanno regalare piacevoli sorprese.
  Ecco la formula segreta (e del tutto personale) per vivere bene le casanze:

1.    zero lavoro e zero impegni abituali (sei a casa, ma in vacanza);
2.   organizzazione q.b. (tanto per trovare ristoranti, negozi, musei aperti);
3.   nuove prospettive (sii turista a casa tua);
4.   mille e una coccola (mangia fuori, acquista dei ricordi, prendi il sole).

Noi siamo fortunati, perché viviamo in un luogo turistico, accogliente, ricco di bellezze, di luoghi e di iniziative da scoprire. Ma chiunque può assecondare la sorte (beffarda, cieca, cattiva) e godere dei vantaggi del rimanere a casa.   
  Perché i motivi per cui passare le vacanze a casa sono tanti: momentanea mancanza di salute, disorganizzazione, repulsione per i viaggi, traumi vacanzieri, desiderio sfrenato di quiete, esaurimento delle risorse economiche… 

  Naturalmente, come ogni medaglia ha due facce, così le casanze hanno i loro pro e contro.

AiQuattroVenti pro delle casanze

AiQuattroVenti contro delle casanze

Accogli le casanze quando non puoi farne a meno, assaporale per tutto quello che sapranno regalarti, dimentica chi sei (e dove vivi) e immergiti con tutta te stessa in queste non-avventure ricche di sorprese.

Buon vento

giovedì 29 agosto 2019

“C’era due volte il barone Lamberto”

Se hai in mente di visitare una località del lago d’Orta, c’è una cosa che devi sapere. Non è un segreto, anzi: ci piace farlo sapere a tutti!
  Gianni Rodari, lo scrittore famoso per le sue filastrocche, nacque e visse a Omegna per i primi nove anni della sua infanzia. E scrisse un libro in cui l’isola di San Giulio, il lago d’Orta, tutto il territorio intorno e i suoi abitanti sono protagonisti; s’intitola C’era due volte il barone Lamberto.

Il libro racconta una favola che va al contrario e obbedisce solo a se stessa: il protagonista non è un giovane che, dopo mille avventure, diventa adulto, ma un vecchio di novantatre anni, molto ricco e sempre malato, che diventa un bambino di tredici anni.
  La storia, spiega l’autore, va al contrario in onore del lago d’Orta che fa di testa sua:
Il lago d’Orta, nel quale sorge l’isola di San Giulio e del barone Lamberto, è diverso dagli altri laghi piemontesi e lombardi. È un lago che fa di testa sua. Un originale che, invece di mandare le sue acque a sud, come fanno disciplinatamente il Lago Maggiore, il lago di Como e il lago di Garda, le manda a nord, come se le volesse regalare al Monte Rosa, anziché al mare Adriatico.
Perciò, dopo aver visitato i luoghi bellissimi del lago d’Orta, corri in libreria a prendere la tua copia: ogni volta che leggerai la favola del barone Lamberto, riconoscerai i luoghi descritti – l’isola di San Giulio, Orta San Giulio, i paesi del Cusio (Pogno, San Maurizio d’Opaglio, Alzo, Pella, Corconio, Lortallo, Vacciago, Omegna, Gozzano, Ameno), i monumenti (il Belvedere di Quarna, il santuario della Madonna del Sasso, la torre di Buccione, il convento del monte Mesma, il santuario della Madonna della Bocciola, il Sacro Monte di Orta), i monti (l’Alpe Quaggione, il Mottarone, il Monte Rosa) e avrai un intero libro come ricordo delle tue vacanze.

Buon vento!

AiQuattroVenti lago d'Orta Gianni Rodari

giovedì 22 agosto 2019

Il cuore del lago d’Orta è l’isola del silenzio

Fine settembre di un anno fa.

Era l’ultimo giorno di vacanza, o giù di lì. Provavo un senso di pace con una punta di nostalgia in anticipo. Perché ancora la vacanza non era finita, ma ne sentivo già approssimarsi la mancanza.
  Quel giorno siamo arrivati a Orta San Giulio con l’intento di prendere il battello e fare un giro sull’isola di San Giulio.

AiQuattroVenti lago d'Orta Isola del silenzio Isola di San Giulio

Orta è una meta vicina, l’abbiamo percorsa in largo (in lungo non ancora) ma non siamo mai stati sull’isola assieme. Perciò ci sentivamo come due veri turisti a caccia di bellezza e stupore: chiusi alla consuetudine, aperti allo sconosciuto.
  Mi piace arrivare nel cuore del paese da metà altezza, percorrere la strada che dal mare di parcheggi sfiora i tetti del borgo, s’addentra tra i muri dei palazzi e sbuca sulla scalinata della chiesa. Se guardo in alto a sinistra, la sua facciata chiara s’illumina di sole; ma il mio sguardo corre subito in basso, oltre i gradini, verso la piazza, il Palazzotto, i tavolini vestiti di colore dei bar, in cerca del brillio solenne del lago d’Orta.

AiQuattroVenti lago d'orta isola del silenzio isola di San Giulio pozzo gatto

C’erano pochi turisti, oltre noi. Siamo saliti sul battello, lasciato a terra ogni pensiero e partiti alla scoperta. Un breve tratto, percorso con lentezza quasi a misura di sguardo curioso, che si posa sulle forme e i colori di pareti, finestre, darsene. E quando siamo sbarcati c’era un muro, degli scalini e una porta ad arco: di qua le acque placide sotto il blu del cielo, di là una storia diversa.
  La scala sale alla basilica di San Giulio, antica quanto le leggende, e lì accanto inizia la strada che gira attorno all’isola, tra le facciate dei palazzi, scorci di lago, l’abbazia benedettina di clausura, piccoli spiazzi, fronde di giardini nascosti, strettoie, tetti e pareti di ardesia, antiche pietre e forme sinuose.
  Un’insegna indica la via e dei cartelli a sbalzo sui muri riportano parole, frasi che, una dopo l’altra, in senso antiorario scrivono un messaggio (la Via del silenzio) e nel senso inverso ne scrivono un altro (la Via della meditazione). Quanto mi piace tutto ciò!

AiQuattroVenti lago d'Orta Orta San Giulio dall'isola del silenzio

Iniziamo il giro dell’isola lungo la Via del silenzio.

        Ascolta il silenzio.
        Ascolta l’acqua, il vento, i tuoi passi…
        Nel silenzio accetti e comprendi.
        Nel silenzio accogli tutto.
        Il silenzio è il linguaggio dell’amore.
        Il silenzio è la pace dell’io.
        Il silenzio è musica e armonia.
        Il silenzio è verità e preghiera.
        Nel silenzio incontri il Maestro.
        Nel silenzio respiri Dio.

Poi ci giriamo e torniamo sui nostri passi, lungo la Via della meditazione.

        Ogni viaggio comincia da vicino.
        I muri sono nella mente.
        Apri il tuo essere.
        Il momento è ora, qui, adesso.
        Abbandona l’io e il mio.
        Accettati, cresci, matura.
        Sii semplice, sii te stesso.
        Il saggio sbaglia e sorride.
        Se arrivi a essere ciò che sei, sei tutto.
        Quando sei consapevole il viaggio è finito.

Ed è questo secondo messaggio – più del sole sull’acqua, più dell’acqua sui moli di pietra e legno, più dei moli abitati da gatti e gabbiani, più dei gabbiani contro il sole – a rendere magico e unico questo ultimo giorno di vacanza, o giù di lì.

AiQuattroVenti lago d'Orta isola di San Giulio via della meditazione

giovedì 1 agosto 2019

Mi preparo alle vacanze

Agosto è iniziato con un venticello gentile, che rinfresca l’animo e invita al riposo. Sembra un buon segno.
  Trentun giorni e altri quindici mi separano dalle vacanze; pieni di lavoro, letture, studio e ritmi laschi. Se il caldo soffoco se n’è andato davvero, tornerò ad allenarmi sul lungolago ogni mattina, uscirò per lente commissioni nel pomeriggio – ottima scusa per attardarmi nei negozi e osservare il tempo che passa in santa pace.

Poi ci saranno le vacanze, anzi: le casanze. Anche quest’anno rimarremo a casa, volentieri, e faremo di nuovo i turisti a casa nostra. Se ci penso mi sciolgo e ci penso, perché di quelle due settimane di totale riposo e assoluta ricerca della bellezza ho un gran bisogno.
  Allora prendo carta, penna e inizio a segnare i luoghi che vorrei visitare e i giri in moto che vorrei fare…

La Valle Cannobina in moto e l’Orrido di Sant’Anna
  Vorrei con tutta me stessa completare quel giro in moto sospeso per un colpo di calore. Risalire il Lago Maggiore, fermarci per un gelato e una passeggiata a Cannobio, imboccare la strada che attraversa la Valle Cannobina e cercare l’Orrido di Sant’Anna. Provare brividi di paura, mentre l’acqua del torrente Cannobino scorre impetuoso tra le rocce che continua ancora a scavare. Poi raggiungere la Valle Vigezzo e ridiscendere verso Stresa e il lago.

L’isola dei Pescatori
  Lei ci manca. L’anno scorso abbiamo visitato le sue sorelle più nobili e famose, ma quest’anno è il suo momento. È l’unica delle tre a essere abitata tutto l’anno, come un normale paese di provincia ma circondato dall’acqua.
  Magari i suoi vicoli, i suoi balconi e il suo punto di vista insolito m’inspireranno idee e storie da raccontare...

Il giro in moto del Lago Maggiore
  Perché la tradizione continui e gli occhi si riempiano di bellezza infinita. Questa volta ci fermeremo lungo la strada, magari a Laveno Mombello per visitare il MIDeC – Museo Internazionale del Design Ceramico; oppure il Museo civico archeologico al Castello Visconteo di Locarno; o Ascona, per una semplice passeggiata sul lungolago.

La Rocca di Angera
  Ogni tanto ci torno, attraverso le sale, mi sporgo dalle finestre e osservo la sua gemella che si alza di fronte, ad Arona. Mi piace immaginare com’era il castello di Arona, il suo giardino e i bagliori del sole sugli elmi dei soldati. È una visita più d’affetto che di scoperta.

Abbiamo quindici giorni tutti per noi e i nostri canidi. Non mancheranno passeggiate tra i boschi e sulle rive dei laghi: il golfo della Quassa a Ranco, il parco naturale dei Lagoni ad Arona, i sentieri che costeggiano il lago d’Orta, la ciclopedonale del lago di Varese

E poi, chissà?

AiQuattroVenti vacanze sul Lago Maggiore

giovedì 25 luglio 2019

Come fanno i turisti a fare i turisti con questo caldo

È una di quelle settimane caldissime, in cui i vestiti prima s’incollano alla pelle e poi s’inzuppano di sudore. Piano, piano e inesorabilmente – anche a stare seduti in poltrona a scrivere.

Volevo raccontare una storia di fiori, nuvole grigie e panchine vista lago, ma il caldo bollente mi ottunde, distorce pensieri e parole, affatica ogni tentativo di concentrarmi. Allora lascio che le dita seguano il filo sottile che ingarbuglia la mia mente, e scrivo del caldo.

Mi chiedo: come fanno i turisti a fare i turisti? 
  Quando l’aria è umida e surriscaldata dai raggi solari, soffocante, del tutto ferma, come fanno i turisti a lasciare l’aria condizionata dell’albergo, degli autobus, dei ristoranti per avventurarsi tra le strade e le bellezze da visitare?
  Quando il cielo è celeste slavato, senza una nuvola, coperto di una patina spugnosa, come fanno i turisti in moto e in bicicletta a solcare l’asfalto vischioso?
  Come fanno a trovare la voglia e l’energia di lasciare il refrigerio dell’acqua di mare, lago o piscina, per seguire il programma di viaggio?
  Ce ne sarà almeno uno che sventola bandiera bianca (se ne ha le forze) e rinuncia a vedere, guardare, osservare, scoprire e meravigliarsi?

Oppure la magia della vacanza – quella cosa misteriosa che ti fa fare ciò che mai faresti nella vita di tutti i giorni – riesce a cancellare il disagio, il colpo di calore, la spossatezza e induce ad andare avanti, come se niente fosse?

Forse i turisti sono una specie diversa, più evoluta: capace di adattarsi a climi e situazioni estreme senza sentirne la reale portata né subirne le conseguenze. Indomiti attraversano le città, sciami di zanzare e moschini, visitano palazzi, giardini e musei, nelle ore più calde della giornata e nelle sere più afose di sempre.
  Un gelato, una granita, magari una birra fredda e un ventaglio: cosa sarà mai questo caldo?

Me lo chiedo perché, da autoctona di luoghi turistici, rimango chiusa in casa in cerca di conforto davanti al ventilatore, e tremo ogni volta che mi tocca uscire e respirare l’aria densa e bollente. Io accaldata, rossa, stravolta e loro, i turisti, sorridenti a passeggio nel caldo equatoriale di questa estate. Ma come fanno?

AiQuattroVenti come fanno i turisti a fare i turisti con questo caldo

giovedì 4 luglio 2019

Riti e monumenti nell’antico santuario di Saint-Martin-de-Corléans

AiQuattroVenti archeologia racconti di tempi lontani

Questa è la storia di un luogo sacro e mai dimenticato. È una storia lunga migliaia di anni, dalla fine del V millennio a.C. agli inizi del III millennio d.C.: dall’alba delle civiltà fino ai giorni nostri.

Si trova su un terrazzo della Dora Baltea, dove il fiume si piega. Un tempo questo era un punto di snodo delle vie di comunicazione a lunga distanza, oggi è la parte occidentale della città di Aosta.
  Non sappiamo molto delle prime genti che lo frequentarono, possiamo solo immaginare.

Il primo gesto sacro fu un’aratura.
  Anzi, una serie di arature eseguite in momenti diversi e periodicamente ripetute senza mai sovrapporsi. I solchi sono incisioni regolari, profonde venti centimetri, di forma triangolare e parallele; si estendono nella zona sud-orientale e si muovo da sud-ovest a nord-est.
  Li incisero tra la fine del Neolitico e gl’inizi dell’età del Rame, e legarono il luogo sacro all’agricoltura, mezzo di sussistenza e simbolo di fertilità e di vita.

AiQuattroVenti archeologia tempi lontani Saint-Martin-de-Corleans aratura sacra

Poi scavarono i pozzi. 
  A nord, dove prima c’era una grande aratura ora non più visibile. I pozzi sono cilindrici, diversi fra loro, a volte grandi anche un metro e ottanta centimetri e profondi fino a due metri; raggruppati in direzione nord-est/sud-ovest.
  Dentro vi hanno deposto frutti, semi di legumi e cereali, macine di pietra e ciottoli; sopra ad alcuni hanno acceso dei focolari. Per tre secoli e mezzo hanno ripetuto gli stessi rituali legali ai culti agricoli, e le genti dopo di loro se ne sono presi cura, come ancora  oggi si fa con un luogo della memoria.

AiQuattroVenti archeologia tempi lontani Saint-Martin-de-Corleans pozzi

Dopo mille anni, innalzarono pali di legno.
  Sia a nord sia a sud; nell’area nord-orientale ben ventiquattro, ravvicinati e disposti a nord-est/sud-ovest, attraversano l’area dell’aratura sacra. Ne rimangono le buche d’impianto, le pietre di rincalzo dei più grandi e alcuni resti carbonizzati di larice e pino silvestre.
  Li realizzarono poco alla volta, nel corso della prima metà del III millennio a.C.: scavarono le buche, vi deposero crani bovini, fiammarono l’estremità dei pali da interrare per conservarle più a lungo, eressero i pali e, alcuni, li sostituirono col passare del tempo. Costruirono, così, una sorta di percorso rituale.

AiQuattroVenti archeologia tempi lontani Saint-Martin-de-Corleans pali lignei

Aggiunsero i monoliti.
  Paralleli e ortogonali alle linee di pali, modificano l’impatto visivo ed emotivo con la solennità della pietra: nove menhir e lastre con foro, più di quaranta stele antropomorfe. L’inizio del megalitismo.
  Mentre ancora si innalzano o sostituiscono pali, per la prima volta la sacralità del luogo è legata alla figura umana. Resa in modo sintetico, uomini e donne distinguibili solo dall’abbigliamento e dai loro strumenti, con altezze fino a tre metri. Rappresentano personaggi reali divinizzati e venerati, legati a culti religiosi, a rituali astronomici-astrologici, rivolti verso est/sud-est ad accogliere chi percorreva l’area sacra. 

AiQuattroVenti archeologia tempi lontani Saint-Martin-de-Corleans statue stele

Trasformarono il santuario in sepolcreto.
  Nel rispetto delle strutture e dei riti precedenti: i monumenti tombali megalitici sorgono lungo gli allineamenti di legno e di pietra, li modificano e li integrano. Le stele sono abbattute, estratte intere dal terreno oppure tagliate con cura alla base e fatte cadere a faccia in giù. Col tempo alcune sono reimpiegate, intere o in frammenti, in diverse tombe in modo sistematico: è un’evoluzione, non una cesura.
  Le tombe, costruite durante l’età del Rame e utilizzate fino all’età del Bronzo Antico, sono diverse: dalle semplici ciste di pietra ai dolmen su piattaforma e alle complesse tombe foderate di lastre di pietra in una struttura circolare delimitata da muri. Come diversi sono i rituali funebri delle sepolture collettive: a cremazione, a inumazione, talvolta arricchite da un semplice corredo di ceramiche rituali, ornamenti in pietre dure, osso, conchiglia, rame, bronzo e manufatti in pietra scheggiata.

AiQuattroVenti archeologia tempi lontani Saint-Martin-de-Corleans statue stele

La storia continua.
  Con le sepolture e il tumulo dell’età del Ferro, l’abitato, la strada e la necropoli d’età romana, la chiesa di Saint Martin de Corléans del Medioevo, e perdura fino ai giorni nostri.
  Diverse le genti, diverse le culture, diverse le epoche, ma in un unico luogo sacro mai dimenticato.

Buon vento!

giovedì 27 giugno 2019

“La gioia del vagare senza meta”


Se non ti è mai capitato, mi spiace proprio. Perché in una via parallela, mentre i turisti pernottano, gli escursionisti rincasano e i viaggiatori attraversano il mondo, c’è chi va sospinto dal piacere di camminare, osservare, esserci, dalla curiosità e dalla ricerca della bellezza, per il semplice gusto di farlo.
  La via parallela è la flânerie, l’arte di passeggiare provando emozioni per ciò che si osserva. Ben descritta ne La gioia del vagare senza meta di Roberto Carvelli.

Flânerie in italiano si traduce con “andare a zonzo, bighellonare” (o peggio “gingillarsi, perdere tempo”), il flâneur è quindi un “perditempo”, un “gentiluomo che vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio”.
  Sono una flâneuse, amo vagare senza meta col solo scopo di camminare, curiosare, stare bene. Ho scoperto di esserlo leggendo questo libro; perciò cercherò di spiegare la flânerie seguendo le parole dell’autore.

AiQuattroVenti racconti di viaggio flanerie

Che cos’è la flânerie 

La flânerie è una passeggiata senza scopo e senza fretta. È andare e guardare, essere liberi di fare – senza fare per forza qualcosa – e di essere – senza essere per forza qualcuno. È un atto libero, un viaggio tra la sorpresa e la rivelazione, la separazione e l’unione.
  È un atteggiamento del cuore, una predisposizione del sentimento, un esercizio dello spirito.

Chi sono il flâneur e la flâneuse

Sono passeggiatori solitari, osservatori e cronisti della vita cittadina. Sono pacati, svagati e in comunicazione con tutto ciò che li circonda. Sovversivi e controcorrente, vanno dove gli altri non vanno. Si sentono a casa ovunque e si perdono per scelta, senza fuggire né smarrirsi.
  Sono poeti che decidono di uscire a farsi travolgere dalla bellezza di quel che incontrano.

Dove vanno, quando e come

I posti privilegiati sono le città: Parigi, New York, Milano, Torino. Ma li trovi anche lungo le strade di campagna, nelle stazioni ferroviarie, nelle piazze, ai capolinea e a una fermata qualunque di un tram.
  In vacanza, la domenica, i giorni di festa. Durante le pause di lavoro, durante il lavoro, mentre viaggiano.
  Con una disposizione d’animo aperta, avventurosa e romantica (ottocentesca). Con curiosità sincera e ingenua, stupore e fiducia. Con buone gambe, udito fine e vista acuta.

Se ti ritrovi in questa descrizione; se la felicità di perderti tra le strade e scoprire nuove fonti di bellezza brilla più di una lista di luoghi-da-vedere-assolutamente; se la libertà di fare ed essere vale più delle tappe stabilite in un viaggio; ecco, sai di cosa sto scrivendo.

Buon vento solitario

AiQuattroVenti racconti di viaggio La gioia del vagare senza meta Roberto Carvelli flanerie

giovedì 20 giugno 2019

Il giro del lago di Varese in otto zampe, quattro gambe e infinite tappe

L’idea ha preso forma pian piano. Quattro chiacchiere con amici, voglia di lunghe passeggiate in famiglia, di domeniche all’aria aperta, di scoprire nuovi paesaggi: perché non facciamo il giro del lago di Varese a piedi?

Il lago di Varese, se lo guardo su una carta, mi sembra un piede medievale rivolto verso destra; se lo guardo dal finestrino della macchina, lo confondo col lago di Comabbio, perché la strada che percorriamo serpeggia tra le due sponde.
  Tutt’intorno al lago di Varese c’è una pista pedociclabile – parola cacofonica con un significato molto piacevole: è vietato il transito ai veicoli a motore, si va solo a piedi e in bicicletta.
  Attraversa nove comuni del Varesotto: Varese, Buguggiate, Azzate, Galliate Lombardo, Bodio Lomnago, Cazzago Brabbia, Biandronno, Bardello, Gavirate. A tratti costeggia il lago, a tratti se ne allontana: si addentra nei boschi, sfiora casotti ricoperti di foglie, poi s’apre su lunghi prati di ville d’altri tempi, s’avvicina a porzioni di palude, diventa una strada di periferia tra due file di villette, fiancheggia la provinciale, all’improvviso si fa lungolago con tanto di panchine, accarezza darsene abbandonate…
  La pista è lunga circa ventotto chilometri. Potremmo farcela in poche tappe, ma ancora non sappiamo quante.

AiQuattroVenti giro del lago di Varese pista ciclopedonale

E così, iniziamo il nostro giro del lago di Varese a settembre dell’anno scorso: siamo in tre, in tutto quattro zampe e quattro gambe.
  Una domenica dopo l’altra, raggiungiamo in macchina il nuovo punto di partenza e percorriamo un’ora di strada, andata e ritorno. Baldo, il nostro canide ha dolori alla schiena e a una zampa, non può camminare per più di un’ora. Perciò noi ci adeguiamo: partiamo a metà mattina, ci fermiamo a pranzare al sacco, torniamo a casa nel primo pomeriggio. Soddisfatti, sereni, forti, con gli occhi pieni di bellezza.
  Poi arrivano l’inverno, il freddo, le piogge di primavera e noi ci fermiamo: basse temperature e umidità non fanno bene a Baldo, meglio aspettare.
  Coi primi soli torniamo in pista: la luce è diversa, gli odori e i suoni nuovi, noi nel frattempo abbiamo aggiunto quattro zampe in più, Flora.

AiQuattroVenti giro del lago di Varese

Non siamo partiti dal chilometro zero a Varese, ma dal punto più vicino a noi: il chilometro tredici a Biandronno. Finora abbiamo percorso quattordici chilometri (tra andata e ritorno), attraversato Biandronno passando accanto all’Isolino Virginia, Bardello, il ponte vicino alle chiuse sul fiume Bardello e siamo arrivati oltre il lido di Gavirate.
  Ancora non so quale paesaggio mi sia piaciuto di più, ma te lo racconterò presto.

Buon vento!

giovedì 13 giugno 2019

Pro e contro dei piccoli musei

Mi piacciono i piccoli musei. Hai presente? Quelli che sbucano all’improvviso lungo una stradina del centro storico o poco più in là della chiesa patronale, con targhe levigate dalla pioggia e dal sole, con nomi che accendono la curiosità e promettono scoperte bizzarre. Ecco, proprio quelli!
  Qui da noi, sul Lago Maggiore e dintorni, ce ne sono a bizzeffe: ogni tanto ne scopro uno nuovo e lo aggiungo alla lista. Mi sono ripromessa di visitarli tutti, sarebbero un’ottima alternativa al solito divano-camino-libro delle fredde domeniche invernali e al mannaggia-piove delle vacanze. Ho iniziato con baldanza il PPM (Programma Piccoli Musei) e presto mi sono accorta di quanto sia meno facile da attuare di quanto pensassi.

  Mi piacciono i piccoli musei, perché raccontano storie uniche di luoghi e persone, ma a volte mi irritano: non si lasciano trovare, dimenticano di avvisare, si concedono col contagocce. Non tutti, ma tanti.
   I piccoli musei sono piccoli anche nelle risorse. La maggior parte sono musei civici gestiti direttamene dal Comune, alcuni sono dati in gestione ad aziende e associazioni culturali, altri fanno parte del circuito dell’Ecomuseo Cusius del lago d’Orta e del Mottarone. Poi ci sono le eccezioni: piccoli musei che diventano grandi, costruiscono reti tra di loro e si fanno conoscere con iniziative ed eventi che coinvolgono adulti e bambini durante l’anno; sono amati da chi li cura e, per questo, lasciano un ottimo ricordo in chi li esplora per la prima volta.

AiQuattroVenti piccoli musei pro-e-contro

AiQuattroVenti piccoli musei pro-e-contro

Sarebbe meraviglioso se i piccoli musei fossero attivi e vivaci per tutto l’anno, dessero l’opportunità a studenti e laureati in beni culturali di fare le loro prime ed entusiasmanti esperienze (pagate il giusto, ovviamente: la dignità sul lavoro vale anche per la cultura) e fossero pieni di visitatori curiosi e appassionati anche nelle fredde domeniche d’inverno.

Buon vento!

venerdì 7 giugno 2019

Entri nel Parco archeologico e Museo di Saint Martin de Corléans e torni indietro nel tempo

Un giorno di settembre, durante le nostre vacanze. Davano tempo instabile, sicché era l’occasione giusta per scappare ad Aosta e fare un vero viaggio a ritroso nel tempo.

Da venticinque anni aspetto questo momento.
  Era un giorno qualsiasi, una lezione come un’altra di Paletnologia; la strada da casa all’università, le biciclette, gli studenti ingiacchettati di giurisprudenza, la porta a vetri troppo moderna nella facciata del rinascimento lombardo, la bacheca con gli annunci, qualche scalino, il corridoio a gomito e infine la solita aula. Le porte ancora chiuse, aspettiamo fuori, io e altre colleghe aspiranti archeologhe. Quando il fiume di studenti ne esce, prendiamo i soliti posti. Estraiamo dalle borse il quaderno degli appunti, le penne, le matite, un paio di registratori e le mini torce – la mia è bianca, decorata con Lisa Simpson, sta in piedi da sola e la lampadina è orientabile. Il professore consegna a uno di noi – sempre il solito, lo chiama per nome – il carrello delle diapositive, fa spegnere le luci – si accendono le mini torce – e inizia a spiegare. Oggi racconta di un sito preistorico dal nome francese, e io m’innamoro perdutamente.
  Da quel giorno non vedo l’ora di visitarlo: è vicino, ad Aosta. È l’area megalitica di Saint-Martin-de-Corléans.

Perciò puoi immaginare come mi sento oggi. Siamo partiti dal Lago Maggiore per raggiungere Aosta, io che non sto più nella pelle, mio marito che guida nel paesaggio tipico del nord-ovest italiano. Attraversiamo le colline moreniche, la pianura coltivata, le risaie, la valle circondata da monti su cui le nuvole grasse di pioggia si fanno il solletico.
  Appena entriamo in città, seguiamo i cartelli marroni che indicano la strada. È un giorno come un altro, c’è poco traffico, i ragazzi sono a scuola, troviamo un parcheggio comodo senza fatica. Sono impaziente. Passato, presente e futuro si mischiano nella mia testa, nelle emozioni e non mi aspetto niente, se non di assaporare quel che vedrò.
  A pochi passi da qui sorgeva un grande centro di culto e di cerimonie durato millenni: la sua sacralità attraversa le epoche successive ed è testimoniata ancora oggi dalla piccola chiesa dedicata a Saint-Martin.

  Le due strutture del museo affiancano la strada guardandosi negli occhi. Sono di acciaio, vetro e sanno di terzo millennio; proteggono un’area archeologica indagata di 10.000 mq, tagliata in due dalla strada che stiamo percorrendo.
  Da una parte il futuro museo che proteggerà e racconterà l’area frequentata nelle età del Bronzo, del Ferro, romana e nel Medioevo. Dall’altra quello inaugurato nel 2016, che conserva e mette in luce le fasi più antiche del sito, dal Neolitico alla prima età del Bronzo (fine V – inizio  II millennio a.C.). In tutto 18.000 mq di Storia.

AiQuattroVenti parco archeologico e museo saint-martin-de-corléans Aosta

Entriamo. Paghiamo i nostri biglietti, seguiamo le indicazioni del personale e ci prepariamo al nostro viaggio nel tempo.
  Una “discesa temporale” ci porta dall’era digitale alla preistoria: è un viaggio a ritroso verso l’inizio della storia e il livello del sito archeologico vero e proprio, a circa sei metri sotto il piano di calpestio odierno. Sono già estasiata.

Appena varco la porta, rimango colpita dalla vastità dell’ambiente. Là in centro, davanti a me, c’è l’area archeologica. Quella vera, scavata da decine di giovani archeologi (poi diventati ricercatori e docenti) per più di vent’anni di indagini e studi scientifici. Non posso fare a meno d’immedesimarmi in loro.
  Poi mi accorgo di un fatto strano: la penombra si trasforma poco alla volta in chiarore e le luci, pian piano, si spostano e illuminano le varie parti dell’area. “Guarda!” esclamo, “Sembra il sole che si alza, attraversa il cielo e se ne va. E poi c’è la notte!” Col naso all’insù, osserviamo le luci che simulano il passaggio del tempo nelle ore della giornata: dall’alba al tramonto, dal giorno alla notte.
  Illuminano l’area archeologica – la vera protagonista –, mettono in evidenza le strutture scavate nel terreno e quelle in elevato della fase megalitica del sito, ed evocano il collegamento tra gli antichi monumenti e i fenomeni celesti – equinozi, solstizi, le posizioni del Sole e della Luna che segnano le stagioni.

AiQuattroVenti area megalitica saint-martin-de-corl{ans

Cammino sulla passerella che circonda e si affaccia sull’area archeologica. Ci sono pannelli, video, disegni sul pavimento e sulle pareti che spiegano la scoperta, le indagini, le singole fasi di frequentazione del sito e i monumenti: leggi una descrizione, ti giri e guardi con occhi nuovi gli originali. Se poi hai fortuna, ti capita di vedere gli archeologi al lavoro, mentre raccolgono, fotografano, studiano i reperti ancora in situ.
  Il museo è formato da sei sezioni che seguono e ricostruiscono le fasi più antiche dell’area archeologica: le tracce di arature del Neolitico, i pozzi, gli allineamenti di pali, gli allineamenti di stele antropomorfe e le tombe monumentali del III millennio a.C.
  In una sala a parte sono allineate, senza sostegni (in un video mostrano come hanno fatto), le statue-stele originali (quelle sullo scavo sono repliche). Sono così vicine, che sto per toccarne la superficie e seguire i solchi dei motivi incisi…

In apparenza il Parco archeologico e Museo di Saint Martin de Corléans è una struttura che conserva i monumenti di una grande e antica area di culto, lasciati là dove sono stati rinvenuti; in realtà è un ambiente vivo, in cui scavi, ricerche, reperti, sezioni museali e visitatori interagiscono tra di loro.
Ho studiato tutto questo – l’area archeologica, le fasi, le statue-stele, le tombe – anni fa. Essere qui e ora, a un passo dal suolo calpestato in antico dalle genti del luogo, mi fa sentire tutta la potenza della Storia. Davvero questo posto è magico: riesce a portarmi indietro nel tempo pur rimanendo profondamente nel presente.

AiQuattroVenti saint-marti-nde-corléans Aosta

venerdì 19 aprile 2019

Che cosa vedere in primavera sul Lago Maggiore e dintorni

Le nostre vacanze si avvicinano; due settimane in balia dell’umore primaverile. Speriamo che le piogge si sbizzarriscano per tre quarti di aprile e poi le giornate splendano serene e tiepide: abbiamo voglia di sole sulle onde, di corse in moto, di lunghe passeggiate.
  Così nasce la nostra “lista delle meraviglie”.

Proprietà dei Borromeo 
Già da marzo è iniziata la stagione di apertura al pubblico delle proprietà dei Borromeo: l’Isola Bella e l’Isola Madre con i loro palazzi e i giardini, che dal 2002 fanno parte del circuito inglese della Royal Horticultural Society; Villa Pallavicino, con la fattoria degli animali; il castello di Angera, con il Museo della bambola e del giocattolo e il giardino medievale; la Rocca di Arona, con i ruderi in cui, si dice, sia nato san Carlo Borromeo.
  Abbiamo visitato le due isole e Villa Pallavicino lo scorso settembre, in vacanza. Per completare la triade del golfo Borromeo, visiteremo l’Isola dei Pescatori. Poi faremo una tappa al Castello d’Angera, che già conosciamo: capita di rado poter gustare la vista di Arona, la sua rocca e il sacro monte di san Carlo dall’altra sponda del lago!

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Isola Bella

Il giro del lago di Varese
Il lago di Varese ha una lunga pista ciclopedonale che lo corona. Attraversa una decina di comuni, in parte lungo la riva del lago e in parte in mezzo ai boschi, con qualche breve tratto su strade percorse da automezzi. È lunga più o meno ventotto chilometri e percorrerla a piedi è una continua scoperta: ville, rustici, casette estive in cima a declivi verdi, giardini, prati, orti, darsene, pontili… C’è tutto quel che puoi trovare lungo le sponde di un lago.
  Vogliamo percorrerla tutta a piedi assieme ai nostri cani (ehi, ti ho già presentato Flora, la nuova cagnolina di casa?), in tappe di un chilometro e mezzo: gli acciacchi di Baldo danno solo un’ora di tregua e noi ci adattiamo volentieri. È bellissimo scoprire nuovi posti tutti insieme!

Ai Quattro Venti pista ciclopedonale del lago di Varese

Il parco del golfo della Quassa
Il golfo della Quassa si estende dalla punta di Ranco alla punta della Fornace di Ispra. Il tratto di Ispra è aperto, giocoso, a tratti anche avventuroso, con paesaggi mozzafiato e portali magici verso nuove dimensioni. Mentre il tratto di Ranco è rivestito di verde, con piante rare e rare specie di uccelli. Qui, lo attraversa il sentiero del Verbano, che sfiora lacerti dell’antica storia geologica del Lago Maggiore.
  Abbiamo percorso il lungolago di Ispra assieme a Baldo, la prima volta in un inverno caldo come l’autunno, la seconda in un autunno agli sgoccioli. Siamo arrivati all’inizio del sentiero che si butta nei boschi e rimane la promessa di entrarci e scoprire come continua.

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Ranco Parco della Quassa a piedi

Il primo giro in moto della stagione
Il primo giro in moto dell’anno è stato a metà febbraio, quando il caldo improvviso ci ha fatto credere di festeggiare la nuova stagione. Poi c’è stato qualche malanno, vento e ora pioggia, e ci siamo fermati.
  Ho chiesto al marito quale giro farebbe: «Andrei a Santa Maria Maggiore, poi attraversei la Val Cannobina e tornerei dal Lago Maggiore. E mi fermerei a Stresa a mangiare il gelato al K2 (una delle gelaterie migliori del territorio).»
  Io farei il giro del Lago Maggiore, ma al contrario: sponda piemontese, Svizzera e sponda lombarda, inseguendo il sole. L’anno scorso abbiamo saltato il nostro appuntamento e ci è mancato.

Ai Quattro Venti Valle Vigezzo

Buon vento di primavera!

venerdì 8 marzo 2019

Parco Conelli di Belgirate, il giardino delle favole

  Ci sono tutti: Biancaneve, Pinocchio, Cappuccetto Rosso, Alice, Dorothy, Darth Veder, ET, la bella addormentata nel bosco, gli gnomi, i maghi, le streghe, le fate, gli animali fantastici. Abitano in un piccolo parco a pochi passi dal Lago Maggiore, e accolgono con colori sgargianti, poesia e magia chiunque voglia tornare nel fantastico mondo della fantasia.

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Belgirate Parco Conelli

  Parco Conelli ha più di un secolo e mezzo, si trova su una striscia di terreno proprio di fronte al lago, separata dalla sponda solo dalla strada principale. Se arrivi da Arona, lo trovi subito dopo il confine di Lesa e poco prima della strettoia che immette in Belgirate. Puoi parcheggiare sul lungolago, attraversare le strisce pedonali, varcare il cancello e dimenticarti di tutto: è il giardino delle favole, dove stupirsi, meravigliarsi, sognare e smettere di essere adulti.

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Belgirate Parco Conelli Roberto Bricalli

  Che cosa lo rende speciale, unico e raro, lo si capisce subito appena entrati. Il parco è una porzione di giardino all’italiana dell’antica dimora dei Conelli, in apparenza come molti altri: a più livelli, dal piano d’ingresso sale verso la collina e scende seguendo il corso d’un ruscello, tra gli alberi e i cespugli tipici di questi luoghi. Nella sostanza è un giardino delle favole: il Principe Rospo di Roberto Bricalli ti accoglie dal suo stagno-fontana, mentre un sentiero si snoda tra le piante e i dipinti di Nicola Pankoff.

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Belgirate Parco Conelli giardino delle favole

Se vivi ad Arona, non puoi non conoscere Nicola Pankoff, la sua musica, i suoi quadri e i suoi colori. Sono cresciuta tra le sue opere, le vedevo ogni giorno in casa, da amici, nei negozi, nei bar. Ho un suo quadro in camera e ne vorrei altri mille, perché sono dipinti narranti, che traboccano di storie fantastiche – a volte riconoscibili, a volte inimmaginabili. Entrerei volentieri nei suoi quadri, per viverle in prima persona, conoscere i tantissimi personaggi, fermarmi ad assaggiare il cibo e incamminarmi sui ponti a strapiombo sui fiumi. Ne sento gli odori, i suoni, le consistenze, i sapori. Potrei anche vincere la paura del vuoto e salire su una sua mongolfiera, tanto sono curiosa di vederli  dall’alto.

Ai Quattro Venti Lago Maggiore Belgirate Parco Conelli Nicola Pankoff

  Sono entrata per la prima volta nel giardino delle favole lo scorso settembre. Era pomeriggio, il sole dietro la collina: il posto ideale per godere un po’ di fresco tra la natura, l’arte, la bellezza del lago e un pizzico di magia. Eravamo soli, io e il marito, alla scoperta dei dipinti, a caccia dei particolari, immersi nel piacere della sorpresa e del silenzio. Inutile dire che me ne sono innamorata all’istante.

Ai Quattro Venti Parco Pubblico Villa Conelli

giovedì 24 gennaio 2019

Scusa non richiesta

Excusatio non petita, accusatio manifesta” è il mio credo da qualche tempo a questa parte. In passato mi affannavo a giustificarmi e a far comprendere i miei motivi, ora ho capito che è superfluo, ambivalente e noioso (per gli altri).
  Perciò non perderò tempo a spiegarti perché non scrivo da mesi.

  Sappi solo che mi sentivo come un innamorato senza amore in piena pausa di riflessione. Ho vissuto, e riflettuto: senza amore le giornate erano grigie e monotone, spente e incomplete. Mancava la bellezza, la passione, il divertimento.

  Sono tornata senza promettere nulla: so già che non scriverò sempre, scriverò quando avrò qualcosa di bello, di appassionante, di divertente da raccontare.
  I luoghi visitati in vacanza, le mete che sogno di raggiungere, le città in cui sarei felice di vivere, i libri su cui ho meditato, i personaggi del passato, il mio lago.

  Perché il primo amore non si scorda mai, rimane nel cuore e cura ogni tristezza.

Buon vento

aiquattroventi aurora sul Lago Maggiore

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