sabato 25 luglio 2015

Un giro in moto a metà

Domenica calda di luglio. Una buona occasione per scappare in moto verso il fresco delle valli.
E così facciamo: al mattino presto saliamo in sella alla nostra moto e partiamo.
Mentre si va l'aria fresca ci avvolge rassicurante; non ci fossero i semafori o le precedenze da rispettare, ci potremmo quasi dimenticare del caldo.
In ogni caso ci pensa il lago a distrarre i nostri pensieri: mai visto così luccicante! Il sole del mattino si diverte a colpire le onde con manciate di brillantini. Difficile distogliere lo sguardo, mi sento come stregata.
Di solito osservo le ville, i fiori colorati, i soliti particolari che mi diverto a ritrovare diversi a ogni giro: un'occhiata a destra, una sinistra... Oggi, però, sono ammaliata dal luccicore dell'acqua.
La strada fiancheggia il lago e sale da Arona a Stresa, da Baveno a Verbania e poi più su, verso Ghiffa, Cannero e infine Cannobio, la nostra prima meta.

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Di domenica a Cannobio c'è il mercato, si snoda sul lungolago e in piazza, togliendo il fiato come una barriera di teli all'aria fresca della sponda opposta. Fa caldo, un caldo estivo, di quelli che sanno di tendoni abbrustoliti, di gente sudata, di fiori esausti e di gelati golosi.
Ci fermiamo a bere qualcosa di fresco, ma non basta. Cerchiamo le scale e l'ombra per salire nel centro storico, ma non basta: il caldo c'insegue, è dappertutto, è dentro di me. Soprattutto è nella mia testa. Talmente tanto che, mentre mangio, ogni boccone si trasforma in una palla di fuoco, le orecchie si spengono, gli occhi iniziano a vedere una monotona sfumatura grigia. Mi salva la fontana e la sua acqua fresca sulla testa, sui polsi, sul viso e sul collo.
Tutto bene, avevo solo un po' caldo.
Risaliamo in moto per raggiungere l'aria di montagna della Valle Vigezzo: infilare giacca e casco è un piccolo supplizio. Percorriamo le prime curve dell'ombrosa Val Cannobina, ma il malessere torna: sento poco, fatico a parlare, ho bisogno di togliermi il casco e sedermi un attimo. Magari mi sdraio per due minuti...
Tutto bene, pare sia passato.
Di nuovo in sella, senza giacca questa volta e con la mentoniera del casco alzata. Scegliamo di rimandare il giro delle valli a un'altra occasione, preferiamo tornare a casa per non rischiare. Di nuovo verso Cannobio, Cannero, Ghiffa e finalmente Intra. Finalmente perché sto di nuovo male, anzi: peggio.
Mi scoppia la testa dal caldo, non sento, vedo appannato, boccheggio, ho sete, ho la nausea. Bevo quasi due litri d'acqua fredda, mi bagno polsi, mani, braccia, collo, testa in continuo. Ma non miglioro. Decido di chiamare il 118 e l'operatore mi dice: "stia al fresco e beva". Decido di chiamare qualcuno che mi venga a prendere e mi riporti a casa in macchina, con l'aria condizionata accesa.
Quando sono a casa mi occupo solo di abbassare la temperatura del corpo e della testa con litri e litri di acqua fresca dentro e fuori. Verso le quattro del mattino, finalmente, ho freddo.

Cosa mi rimane di questa esperienza? Un grande spavento.
Stare male quando si viaggia in moto vuol dire essere allo sbaraglio: la capacità di prendere la decisione migliore, senza farsi prendere dal panico, è fondamentale. È importante anche ascoltare il proprio corpo e riconoscere subito i sintomi di un malore.
Purtroppo, per quanto forti e pressanti, non conoscevo i sintomi del colpo di calore.
Per fortuna a star male ero io (il passeggero) e non mio marito (il pilota). Per fortuna eravamo su una strada turistica, piena di paesi, locali aperti e gente. Per fortuna siam riusciti ad avvicinarci a casa. Per fortuna a casa c'era qualcuno. Per fortuna guidava una macchina con l'aria condizionata.

Con questi pensieri in testa, auguro a tutti buon vento,
un vento forte e freddo che annienti l'afa e riporti il sereno e temperature migliori.

giovedì 16 luglio 2015

Caldi pensieri

L'avevano detto, ma non volevo crederci: è tornato il caldo umido.
Anche qui in collina: fa caldo e si soffre. Nelle case del centro storico, fatte di pietra nei secoli scorsi, se l'aria non entra gioiosa e non smuove le tende sbarazzina, fa caldo.
Fa caldo anche a casa nostra, nonostante i muri spessi, nonostante il piccolo poggio, nonostante sia lontana dai boschi umidi. I miei pensieri scivolano via come gocce di sudore, la concentrazione evapora, a lavorare non riesco. Il Baldo giace su un fianco a occhi chiusi, ogni movimento ridotto al minimo, e segna la mappa dei punti più freschi meno caldi di casa. Forse dovrei chiudere tutto (la tecnologia scotta!) e far come lui.
I rumori sono attutiti dall'aria greve, le voci roche tacciono, il cielo è di un celeste slavato e i panni stesi ai balconi s'allungano appesantiti. Nemmeno i fiori risplendono di colori. Tutti aspettiamo la sera, il refolo d'aria, il sollievo di un giorno nuovo e la speranza del fresco.
Eppure mi tocca: devo uscire - due incombenze attendono da giorni e non possono più aspettare.
Così colgo l'occasione e - mentre attraverso il cortile e l'arco, percorro quel che resta del vicolo in discesa e attraverso la piazza - penso a com'era quest'angolo di paese tanti anni fa.

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Al posto del condominio moderno, sgraziato nelle sue proporzioni e privo di qualsiasi piacevolezza, c'erano tre case. Al piano terra un benzinaio con tre pompe, la vetrina di un negozio e un bar con tavolini e sedie per sorseggiare una bibita al fresco degli ombrelloni. Invece del monumento ai Martiri della Libertà (che dà nome alla piazza), gorgogliava la fontana a sei sponde. 
Nell'aria tremolante dal caldo posso quasi vedere l'andirivieni da un negozio all'altro, il viavai da una strada all'altra, il ritrovo sereno delle famiglie in piazza, la vivacità di un paese di contadini, artigiani e commercianti.
Tutte cose che ormai mancano - e non perché fa caldo. A questo bel paese ricco di storia e aneddoti, in passato ospitale e vitale, ai giorni d'oggi manca la brillantezza. 

Attraverso la piazza, dicevo, ma torno subito indietro: le saracinesche dei negozi son già abbassate, un'ora prima della chiusura - e non perché fa caldo.
Le mie incombenze aspetteranno un altro giorno.

giovedì 9 luglio 2015

Viaggio in Mediterraneo




Torna la rubrica per  chi cerca "qualcosa di più" con il libro Viaggio in Mediterraneo. Immagini, incontri, riflessioni di un velista curioso di Giorgio Daidola.

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Inizio a leggerlo, pregustando il racconto del viaggio, degli incontri e delle scoperte, e non vedo l'ora di confrontare le emozioni di un viaggiatore di più mari con quelle di un viaggiatore di un unico mare! Dopo qualche pagina, però, temo di aver preso un abbaglio: non è quel che mi aspettavo.
Eppure c'erano tutte le premesse...

Conosco l'autore durante uno degli Incontri con gli Autori organizzato dalla Lega Navale Italiana di Arona. Inizia a parlare e mi porta in un mondo del tutto sconosciuto, che mai avrei potuto - anche solo lontanamente - immaginare: le avventure degli alpinisti marinai. Mari e montagne sono due esperienze molto intime e connesse, dice. E ci affascina con storie di marinai diventati velisti per necessità (Ernest Shackleton), di velisti dotati di tenacia e gran sensibilità (Isabelle Autissier), di alpinisti che non si rassegnano all'età e prendono la via del mare per salire su montagne più basse (Bill Tilman), di avvocati che diventano i primi velisti a fare il temibile passaggio est-ovest in Alaska (Cristina Rapisardi), di giovani che costruiscono una barca per rivivere l'avventura di un eroe (Gerard Janichon e Jerome Poncet), di biologi che partoriscono attraversando l'Antartico in slitta (Sally Poncet), di guide alpine che attraversano paesi ghiacciati sugli sci (Bertrand Dubois), di spedizioni mare-montagna nei fiordi norvegesi (Jean Luois Etiennne), di crociere scialpinistiche... Racconti appassionati ed emozionanti, come quando ricorda del suo viaggio in barca a vela per raggiungere Stromboli e poi delle sue discese sulla lava della Sciara del Fuoco!

Insomma, apro le pagine del libro immaginando di trovarmi avvinta in un racconto di viaggio, in cui l'autore apre il suo cuore e offre le sue emozioni ai lettori. Invece mi ritrovo a seguire il resoconto di una lunga vacanza, durata cinque anni, tra le isole e le coste del Mediterraneo orientale.
Leggendolo, infatti, il libro mi sembra una sorta di guida turistica per velisti: mentre racconta i luoghi visitati e le persone incontrate durante la sua crociera, fornisce (tante) informazioni, valutazioni personali e consigli  su marina, porti, attracchi, procedure, ristoranti, locali, personale a cui rivolgersi per il mantenimento e la cura della barca. Ma io non sono una velista e queste cose mi interessano poco: io cerco l'emozione che insegna!

Alla fine del libro, mi rendo conto di dover affinare le mie doti di archeologa e scavare tra le righe e le parole. Per trovare qualcosa su cui meditare.

Non è un portolano, ma il libro di un marinaio di terra che cerca la terra, il rapporto con la natura e la gente, dice presentandosi quella sera.
Ed è così: l'amore per la natura è palpabile. Con poche parole sa descrivere la sensazione di vitalità, curiosità e felicità di fronte alla bellezza dei paesaggi incontaminati. Il contatto con la natura più pura riesce a calmare il suo bisogno incessante di fuggire. E l'incontro con persone eccezionali, capaci di trasmettere insegnamenti importanti, dà senso al suo vagabondare.
Perché l'autore lo dice chiaramente: insegue la lentezza di vivere concedendosi avventurose fughe "a tempo" dalla vita di tutti i giorni. Ma queste fughe sono anche la causa dei ritmi ossessivi della vita di tutti i giorni: come un cane che si morde la coda.
Quest'ansia si coglie spesso: quando descrive la continua corsa contro il tempo per prenotare aerei, treni e posti barche in date ben precise; quando esprime il suo rammarico per non potersi fermare più a lungo in un posto perché esiste una tabella di marcia; quando paragona la stressante programmazione dei periodi di lavoro e di fuga come vivere su un asse di equilibrio.

C'è un fatto, che più di tutti mi colpisce: l'autore non viaggia solo. Confessa, infatti, che stare da solo e intraprendere un viaggio in solitaria non gli è mai piaciuto.
Sono stupita e fatico a comprendere: per me viaggiare davvero significa solitudine, per poter accogliere dentro di me il mondo là fuori senza filtri. Per osservare, meditare, emozionarmi, imparare, crescere. Quando sono in compagnia di qualcuno, mi godo la sua presenza. Ma non sono in grado di far bene entrambe le cose contemporaneamente.
Ritrovo il mio pensiero espresso da una delle persone che l'autore ha incontrato nel suo viaggio: "Finché non lo fai non puoi capire cosa significa stare da solo, cosa ti dà. E cioè molto. Ritengo sia un'esperienza essenziale per capire la vita e gli altri. Vedi, questa sera io sono qui con te e sto benissimo, proprio perché grazie alla mia solitudine posso aprirmi al mondo."

Ecco quel che mi lascia questo libro: non tutti i viaggi sono uguali, perché non tutte le persone sono uguali. C'è chi viaggia per conoscere il mondo e se stesso, c'è chi viaggia per ampliare i propri orizzonti e non smettere mai di imparare. C'è chi viaggia perché sospinto dalla zugunruhe, c'è chi viaggia per conoscere il proprio posto nel mondo. Per alcuni, invece, il viaggio è una cura contro l'ansia del viver quotidiano; una cura a tempo deteminato, però, che non avrà mai fine e non darà sollievo.

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Al di là delle opinioni personali, delle informazioni tecniche, dei consigli pratici. Al di là delle interviste ai personaggi, delle fotografie, del resoconto di viaggio. Al di là delle considerazioni sugli equipaggi, dei ricordi di gioventù, dell'amore per la terra.
Al di là di tutto ciò: ci sono i viaggiatori e ci sono i fuggitivi.
I viaggiatori assaporano, i fuggitivi inseguono; i viaggiatori si riempiono, i fuggitivi si svuotano; i viaggiatori amano la solitudine, i fuggitivi la temono; i viaggiatori trovano pace, i fuggitivi non la troveranno mai.
Anche questo libro mi dona qualcosa di grande su cui meditare.

Buon vento.
 

giovedì 2 luglio 2015

Itinerario del Lago d'Orta in moto

Non puoi immaginare che soddisfazione sia per me poter condividere questa scheda! L'itinerario del giro del Lago d'Orta, da un capo all'altro*, in moto. Ah!
Perché, mentre ripeto i nomi delle strade, mi rivedo in sella e mi gusto, di nuovo, il viaggio.
Dietro la selva di sigle, infatti si nascondono le strade provinciali con i loro nomi: lunghi e come sempre molto evocativi. Alcuni sono semplici e pratici, eppure trasportano in un mondo di paesi, ognuno con la propria storia e i propri orgogli: la Gozzano-Oleggio Castello, quella di Briga Novarese, la Briga-Gozzano, quella di Gargallo e Soriso, la Pogno-Alzo, quella di Bolzano Novarese. Buffi, vero?
Altri, invece, evocano paesaggi, sciabordii, pascoli, colline e fiori: la strada del Lago d'Orta (sotto il sole, di fianco all'onda blu-verde del Cusio), la strada occidentale del Lago d'Orta (più ombrosa, fresca e nascosta), la strada della Cremosina (lungo il passo che attraversa la zona montana e collega le vallate dei torrenti Sesia, Agogna e dei tributari del Cusio alla Valsesia). Strade che riempiono gli occhi e rimangono impresse.

aiquattroventi-itinerario-moto-lagodorta
Clicca per scaricare l'itinerario!

Nella scheda trovi:
  • la carta stradale con le tappe evidenziate in rosa e le frecce che indicano la direzione del percorso
  • le informazioni sull'itinerario (partenza e arrivo, lunghezza, durata, velocità media, difficoltà)
  • le informazioni generali (in quale regione e provincia si svolge, quando è meglio andare, con quali moto, per quale motivo percorrerlo)
  • la road book con l'indicazione delle località (partenza, tappe, arrivo), della distanza e del tempo necessari per raggiungerle, delle strade da percorrere.
* Descrivo solo l'itinerario del giro del Lago d'Orta e non il "bonus" verso il Lago Maggiore: quello lo lascio per il prossimo giro in moto!

Buon vento

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