giovedì 9 luglio 2015

Viaggio in Mediterraneo




Torna la rubrica per  chi cerca "qualcosa di più" con il libro Viaggio in Mediterraneo. Immagini, incontri, riflessioni di un velista curioso di Giorgio Daidola.

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Inizio a leggerlo, pregustando il racconto del viaggio, degli incontri e delle scoperte, e non vedo l'ora di confrontare le emozioni di un viaggiatore di più mari con quelle di un viaggiatore di un unico mare! Dopo qualche pagina, però, temo di aver preso un abbaglio: non è quel che mi aspettavo.
Eppure c'erano tutte le premesse...

Conosco l'autore durante uno degli Incontri con gli Autori organizzato dalla Lega Navale Italiana di Arona. Inizia a parlare e mi porta in un mondo del tutto sconosciuto, che mai avrei potuto - anche solo lontanamente - immaginare: le avventure degli alpinisti marinai. Mari e montagne sono due esperienze molto intime e connesse, dice. E ci affascina con storie di marinai diventati velisti per necessità (Ernest Shackleton), di velisti dotati di tenacia e gran sensibilità (Isabelle Autissier), di alpinisti che non si rassegnano all'età e prendono la via del mare per salire su montagne più basse (Bill Tilman), di avvocati che diventano i primi velisti a fare il temibile passaggio est-ovest in Alaska (Cristina Rapisardi), di giovani che costruiscono una barca per rivivere l'avventura di un eroe (Gerard Janichon e Jerome Poncet), di biologi che partoriscono attraversando l'Antartico in slitta (Sally Poncet), di guide alpine che attraversano paesi ghiacciati sugli sci (Bertrand Dubois), di spedizioni mare-montagna nei fiordi norvegesi (Jean Luois Etiennne), di crociere scialpinistiche... Racconti appassionati ed emozionanti, come quando ricorda del suo viaggio in barca a vela per raggiungere Stromboli e poi delle sue discese sulla lava della Sciara del Fuoco!

Insomma, apro le pagine del libro immaginando di trovarmi avvinta in un racconto di viaggio, in cui l'autore apre il suo cuore e offre le sue emozioni ai lettori. Invece mi ritrovo a seguire il resoconto di una lunga vacanza, durata cinque anni, tra le isole e le coste del Mediterraneo orientale.
Leggendolo, infatti, il libro mi sembra una sorta di guida turistica per velisti: mentre racconta i luoghi visitati e le persone incontrate durante la sua crociera, fornisce (tante) informazioni, valutazioni personali e consigli  su marina, porti, attracchi, procedure, ristoranti, locali, personale a cui rivolgersi per il mantenimento e la cura della barca. Ma io non sono una velista e queste cose mi interessano poco: io cerco l'emozione che insegna!

Alla fine del libro, mi rendo conto di dover affinare le mie doti di archeologa e scavare tra le righe e le parole. Per trovare qualcosa su cui meditare.

Non è un portolano, ma il libro di un marinaio di terra che cerca la terra, il rapporto con la natura e la gente, dice presentandosi quella sera.
Ed è così: l'amore per la natura è palpabile. Con poche parole sa descrivere la sensazione di vitalità, curiosità e felicità di fronte alla bellezza dei paesaggi incontaminati. Il contatto con la natura più pura riesce a calmare il suo bisogno incessante di fuggire. E l'incontro con persone eccezionali, capaci di trasmettere insegnamenti importanti, dà senso al suo vagabondare.
Perché l'autore lo dice chiaramente: insegue la lentezza di vivere concedendosi avventurose fughe "a tempo" dalla vita di tutti i giorni. Ma queste fughe sono anche la causa dei ritmi ossessivi della vita di tutti i giorni: come un cane che si morde la coda.
Quest'ansia si coglie spesso: quando descrive la continua corsa contro il tempo per prenotare aerei, treni e posti barche in date ben precise; quando esprime il suo rammarico per non potersi fermare più a lungo in un posto perché esiste una tabella di marcia; quando paragona la stressante programmazione dei periodi di lavoro e di fuga come vivere su un asse di equilibrio.

C'è un fatto, che più di tutti mi colpisce: l'autore non viaggia solo. Confessa, infatti, che stare da solo e intraprendere un viaggio in solitaria non gli è mai piaciuto.
Sono stupita e fatico a comprendere: per me viaggiare davvero significa solitudine, per poter accogliere dentro di me il mondo là fuori senza filtri. Per osservare, meditare, emozionarmi, imparare, crescere. Quando sono in compagnia di qualcuno, mi godo la sua presenza. Ma non sono in grado di far bene entrambe le cose contemporaneamente.
Ritrovo il mio pensiero espresso da una delle persone che l'autore ha incontrato nel suo viaggio: "Finché non lo fai non puoi capire cosa significa stare da solo, cosa ti dà. E cioè molto. Ritengo sia un'esperienza essenziale per capire la vita e gli altri. Vedi, questa sera io sono qui con te e sto benissimo, proprio perché grazie alla mia solitudine posso aprirmi al mondo."

Ecco quel che mi lascia questo libro: non tutti i viaggi sono uguali, perché non tutte le persone sono uguali. C'è chi viaggia per conoscere il mondo e se stesso, c'è chi viaggia per ampliare i propri orizzonti e non smettere mai di imparare. C'è chi viaggia perché sospinto dalla zugunruhe, c'è chi viaggia per conoscere il proprio posto nel mondo. Per alcuni, invece, il viaggio è una cura contro l'ansia del viver quotidiano; una cura a tempo deteminato, però, che non avrà mai fine e non darà sollievo.

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Al di là delle opinioni personali, delle informazioni tecniche, dei consigli pratici. Al di là delle interviste ai personaggi, delle fotografie, del resoconto di viaggio. Al di là delle considerazioni sugli equipaggi, dei ricordi di gioventù, dell'amore per la terra.
Al di là di tutto ciò: ci sono i viaggiatori e ci sono i fuggitivi.
I viaggiatori assaporano, i fuggitivi inseguono; i viaggiatori si riempiono, i fuggitivi si svuotano; i viaggiatori amano la solitudine, i fuggitivi la temono; i viaggiatori trovano pace, i fuggitivi non la troveranno mai.
Anche questo libro mi dona qualcosa di grande su cui meditare.

Buon vento.
 

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