venerdì 18 dicembre 2015

Diario di viaggio. Roma, l'Ara Pacis

Quarto giorno.

Di questo giorno ricordo il caldo, l'odissea tra tram, metropolitane, autobus e il girotondo di indicazioni inventate intuite sospettate, un lieve senso di fastidio, lo stupore e la bellezza.

In tram da via Prenestina alla stazione Termini: tutto bene. Dalla stazione Termini: il delirio. Impossibile prendere la metropolitana: aspetto due turni, ma la banchina si affolla in un batter d'occhio, l'aria manca e i treni sono già stracolmi di gente. Desisto e cerco un autobus. Nessuno sa darmi indicazioni precise: all'ufficio informazioni non sanno dove partono gli autobus, allo sgabbiotto degli autobus gli autisti giocano a tombola coi numeri dei loro mezzi... Lascio perdere. Proseguo a piedi verso piazza della Repubblica, scendo le scale ed entro in metropolitana. Ci riprovo e mi va bene: una fermata dopo Stazione Termini i treni sono vuoti, posso sedermi e respirare.
Arrivo a destinazione un'ora e mezzo più tardi di quanto avessi immaginato e imparo che tempo e distanze a Roma sono relativi.

L'idea è di scendere in piazza del Popolo (ne ho un ricordo bellissimo), imboccare via di Ripetta, visitare l'Ara Pacis, risalire per via del Babuino e poi... chissà?
Via di Ripetta è fresca, nonostante il caldo, e nasconde dietro a vetrine semibuie e portoni chiusi a metà dei veri tesori. Gironzolo per la galleria Mia Home Design, con i sensi vispi e l'animo soddisfatto. Proseguo lungo la strada, osservo, classifico i ricordi, ne incontro di vecchi e li paragono ai nuovi. Ecco il Mausoleo di Augusto e di fronte - be', non l'ho mai vista prima, ma non può essere che l'Ara Pacis.

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Nella mia ultima visita a Roma, un giovane archeologo si lamentava della troppa modernità del Museo dell'Ara Pacis. A Roma non c'è spazio per la contemporaneità, era il suo pensiero. Ma questo museo, nelle sue forme e nelle sue attenzioni architettoniche, è la miglior protezione che questo monumento antico potesse avere. Entro, con un po' di batticuore, e inizio la mia lunga visita. Qui il tempo si ferma, non esiste più nulla all'infuori dello stupore, dell'amore e dell'essenza della vita - la mia vita. Ascolto l'audioguida, scrivo sul mio taccuino, osservo a occhi nudi e attraverso l'obiettivo della macchina fotografica, mi siedo, passeggio, allungo la mano per accarezzare lo strato d'aria che circonda il monumento. Ricordo le ore trascorse sui libri, rivedo il colore della matita sottolineare le parole, sento la mia voce ripetere convinta, ascolto quel desiderio in fondo all'anima di poterla ammirare dal vivo.

L'emozione è così forte, che mi viene da piangere. Ho amato l'Ara Pacis fin da subito, quattordici anni fa non potevo visitarla. Ora non ne uscirei più e son così grata e felice di averla vista dopo tanti anni coi miei occhi, dal vivo - da non trovare parole adeguate per descrivere le mie emozioni.

 Di tutto quello che avviene dopo, in questa giornata calda e luminosa, non ricordo più.

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venerdì 11 dicembre 2015

Blu-lago

Qual è il tuo colore preferito?
Il mio, non lo so.
Da bambina molto piccola mi piaceva il rosa carnicino, un po' più grande preferivo il rosso. Abbandonato per il verde. A cui poi ho aggiunto l'arancio e il viola. Il nero è il colore dei miei vestiti da adulta. Ammiro il grigio e m'ingolosisce il marrone del cioccolato fondente e mi affascinano il porpora e pure l'ottanio. Ma se proprio devo dirti quale sia il mio colore preferito, non lo so.
So quali colori proprio non mi sconfinferano: il giallo e il blu.
Eppure c'è un blu che amo profondamente ed è il blu-lago.

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Buon vento

venerdì 4 dicembre 2015

Diario di Viaggio. Roma, sul treno dell'andata

Primo giorno. Sul treno da Milano a Roma.

Chiedo un passaggio per scendere dalle colline alla stazione di Arona. Prendo un treno di metà mattina, arrivo a Milano Porta Garibaldi in anticipo - non si sa mai - e aspetto impaziente il mio prossimo treno. Lo annunciano pochi minuti prima del suo arrivo, raggiungo rapida il binario e aspetto: si ferma, qualcuno scende, salgo e cerco il mio posto nella carrozza. Viaggio con Italo, una nuova esperienza. Il treno parte e io mi godo il viaggio.

Che bella, la Pianura Padana. Campi, filari d'alberi, sentieri in terra battuta, vecchi edifici in mattoni rosati, polverosi. Verde, giallo, arancio (dei tetti) sotto, azzurro slavato sopra.
Una galleria nera lunghissima, ogni tanto le colline, dolci, alte, con cipressi.
Nuvole di panna.
Firenze Campo di Marte! Quanti ricordi...
Colline ardite che scivolano verso boschi e noi vi entriamo e usciamo - dal buio alla luce.
Branchi di nuvole all'orizzonte.
Il profilo dei monti, una torre sopra i tetti, vigneti in bilico, il verde, il marrone, il giallo dei campi, un cerchio di pecore, vigneti, vigneti, vigneti.

I miei pensieri scivolano sul paesaggio, s'intrecciano coi ricordi, ne creano di nuovi, muovono la mano mentre scrivo sul taccuino.

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Tra poco sarò a Roma. Tra poco incontrerò le amiche: arriveranno da tutta Italia con l'unico intento di stare assieme - un giorno, due, il tempo di una cena. Porteremo con noi i sorrisi, le chiacchiere e le emozioni di quando eravamo bambine e ci succedeva qualcosa di incredibilmente fantastico.
Sarà un bell'inizio.

giovedì 26 novembre 2015

Riflessi d'acqua

I riflessi sull'acqua mi affascinano. Se passeggio accanto a un corso d'acqua, non posso fare a meno di fotografarne la superficie a specchio.
Rami, ciuffi d'erba, nuvole, colori del cielo, onde, ombre: sono tutta un'opera d'arte naturale.
C'è un punto del Lagone* in cui mi fermo a osservare il villaggio che fu.

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L'ultima volta l'ho visto, il villaggio, avvolto dalle nebbie; ne ho scorto i pali, i tetti, le strutture come pennellate di grigio verticali.
In quel punto del Lagone, le onde s'insinuano sulla riva, tra l'erba e la terra marrone. Gli alberi s'inchinano a guardarsi, i cespugli si protendono verso il cielo coi piedi in ammollo, i germani reali ci tracciano strisce scure in movimento.
Se credessi, penserei di essere sulla soglia di un portale temporale. Se allungassi la mano a sfiorare lo specchio d'acqua, potrei trovarmi catapultata sull'altra riva in un altro tempo a guardare negli occhi persone altrettanto stupite.

*Nel parco naturale dei Lagoni di Mercurago.

giovedì 19 novembre 2015

L'autunno nei boschi

Hai mai visto nascere la nebbia dal lago? Spunta dalla sua superficie in boccioli d'ovatta, che s'allungano e aprono in un velo bianco. Son fiammelle inerti che spandono il loro biancore nell'aria, tra acqua e cielo, lambendo la terra.
Nei boschi invece la nebbia s'impiglia nei rami alti, sbeffeggiata dal riso dei germani reali.


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Nei boschi i colori splendono vivi: rosso magenta di tronchi sinuosi e di fiori che forse son bacche, rosso fuoco di foglie sui rami e per terra, verde dalle mille sfumature, gialli improvvisi come vampate di calore, marrone chiaro quasi dorato delle foglie morte.

Cammino negli strati soffici di foglie, le sollevo in uno spruzzo come onde di mare e d'un tratto ritorno bambina.
L'autunno è la stagione delle favole.

giovedì 5 novembre 2015

Nel cuore dell'autunno

Questo è il periodo dell'anno che preferisco: il cuore dell'autunno, tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre.
Quando il sole è basso e illumina con intensità ogni pertugio e disegna nuovi ghirigori d'ombra e ci fa credere d'essere negli ultimi giorni di un'estate bellissima.
Quando ti svegli al matino e il sole s'attarda nel suo letto, coperto da una coltre di nebbia, e l'aria frizza di gelo per poi scaldarsi pian piano.
Quando all'ora del tè è già buio e ti chiedi dove sia finita la luce che, poco fa, accendeva d'arancio la cucina.
Quando in un unico giorno è ancora estate ed è già inverno. L'autunno è magico.

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L'ultimo giorno di ottobre passeggiamo lungo il lago ad Arona. Proprio là dove, un anno fa, non si poteva più camminare: le strade erano invase dall'acqua e la terra s'era fatta specchio del cielo bigio. Oggi, invece, i colori si accendono luminosi, nonostante la sera si avvicini: erba verde punteggiata di foglie e cigni, acqua e cielo cangianti dall'azzurro al rosa e dal grigio al blu, foglie di ogni calda sfumatura. Mi sembra di camminare all'interno di un dipinto e mi rigenero.

Il primo giorno di novembre è altrettanto lucente: ci lasciamo andare al piacere di un breve viaggio in moto fino a Laveno, sull'altra sponda del lago, perché nel pomeriggio è ancora avvolta dai raggi del sole. È una strada familiare, la ripercorro in cerca dei miei punti di riferimento. Saluto le case di cui apprezzo le forme e il carattere distintivo; le vele spiegate che si rincorrono tra una costa e l'altra; l'odore pungente delle foglie morte e l'odore dolce di piante misteriose. Saluto le onde d'agata e le correnti striate; saluto quel velo di bruma oltre le montagne, come un acquerello sapiente.
Poi quasi d'un tratto i riflettori si spengono, si accendono le luci di cortesia ed è ora di tornare a casa.

Ancora oggi, quando sono in giardino, sento le foglie del ciliegio crepitare: cadono leggere, impigliandosi le une nelle altre, dai rami ogni giorno più spogli. Sembrano stormi di uccelli che litigano e si fanno dispetti.
Mi chiedo quando cadrà l'ultima, se lascerà posto alle nubi, alla nebbia e alla neve.

Buon vento.

giovedì 29 ottobre 2015

Diario di viaggio. Roma

Ci provo. Poco prima di partire, decido di portare con me a Roma un quadernino su cui segnare giorno per giorno quel che combino.
Non so ancora bene come sarà, questo quadernino; ma pian piano prende forma da sé.
I giorni prima della partenza son pieni di impegni, la mia testa scoppia di stanchezza, i miei occhi son già pieni di colori diversi: non ho tempo di pensare al quaderno.
Eppure, eccolo qui: uno sguardo in giro per casa, raccolgo un'idea veloce e in meno di cique minuti ecco il mio Diario di Viaggio!

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Prendo:
1 cartoncino nero formato A4... rimasuglio dei divisori per l'agenda 
8 fogli bianchi formato A4... della stampante
1 elastico nero... dalla scatola del cucito

Piego il cartoncino nero prima a metà dell'altezza, poi a metà della larghezza e lo metto da parte.
Piego uno per uno gli otto fogli bianchi a metà dell'altezza e taglio lungo la piega con un taglierino. Tengo sovrapposte le due metà  del foglio e le piego a metà della larghezza. 
Inserisco le metà dei fogli bianchi all'interno del cartoncino nero.
Fo passare l'elastico all'interno e all'esterno del quadernino lungo la piega centrale, e chiudo l'elastico con un semplice nodo.

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Lo porto con me in borsa e ogni sera scrivo un breve resoconto delle mie giornate: su due pagine (quattro facciate) al giorno c'è spazio per pensieri volanti, disegni, carte e biglietti.
Desidero ricordare tutto, di queste mie vacanze romane.

Buon vento.

lunedì 26 ottobre 2015

Milano: il cielo è sempre più blu in piazza Gae Aulenti

Sabato sono stata a Milano, la città che sa stupirmi ogni volta di più.
Ho incontrato delle amiche, uno di quegli incontri che ti ricaricano le energie per almeno un mese intero: tutti dovrebbero avere amicizie preziose.

Ogni volta che vado in città, rifiorisco: mi sveglio pimpante (anche se son le sei del mattino), considero con attenzione ogni particolare dei miei abiti, metto in borsa gli oggetti di cui non potrò fare a meno durante la giornata (libro per il viaggio, rossetto per eventuali ritocchi, ombrellino caso mai il tempo facesse le bizze), do un bacetto al Baldo e scappo in stazione. Appena salgo sul treno mi preparo a godermi il viaggio: fuori il libro e la matita, ché qui si studia!
Appena scendo dal treno, mi sorprendo a canticchiare col sorriso sulle labbra: amo la città, quell'aria di libertà che spira tra i palazzi e i passi frettolosi della gente, amo sentirmi di nuovo giovane e allegra, me stessa come non mai.
Canticchiando arrivo all'appuntamento e, abbraccio dopo abbraccio, bacio dopo bacio, mi lascio andare alla piacevolezza e al calore di queste ore assieme.

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Dal cuore della stazione di Porta Garibaldi scivoliamo verso la luce del sole, attraversiamo sulle strisce, ammiriamo il Bosco Verticale - sospirando -, saliamo sulle scale mobili e ci troviamo nel bagliore di Piazza Gae Aulenti.
Una piazza che ogni volta mi fa esclamare: "Oh!" per la sua bellezza.
Col naso all'insù osservo il cielo specchiarsi e rompersi sulla facciata sinuosa delle torri di Cesar Pelli. Poi lo sguardo scivola sul piccolo lago centrale, dove l'acqua rimbalza in giochi di destrezza, tra i bambini che ridono e genitori che sorridono e un'atmosfera di calma spensieratezza. È vero, è una piazza dove si lavora, sotto di noi c'è un supermercato con l'andirivieni e il caos ripetitivo tipico di questi luoghi, attorno negozi sempre aperti con la loro cospicua dose di turisti, iniziative di ogni genere e sostanza si svolgono sotto il suo sguardo attento, eppure...
Mi sembra come se avessi preso un treno per il futuro o per una realtà parallela del nostro presente. Ricordo le descrizioni di mio padre, cresciuto nel quartiere Isola, qui accanto, e sento uno stridio di sottofondo: come dei freni azionati dopo una velocissima corsa su rotaie.
Dal concetto astratto di lontane lezioni sui paesaggi turistici, mi ritrovo a osservare il cuore pulsante del fenomeno - edilizio, geografico e sociale - di gentrificazione; qui a Milano.

sabato 10 ottobre 2015

I viaggi son fatti anche di liste

Io e la geografia non ci siamo mai prese più di tanto. Io la trovavo noiosa e lei - be', non ho mai saputo cosa pensasse di me.
Ci siamo avvicinate un poco durante le campagne archeologiche: scavare nel terreno in cerca di tracce del passato mi ha fatto intuire la sua essenza.
La geografia non va letta sui libri di scuola e basta, non va studiata sulla fiducia: è una realtà complessa e va vissuta in prima persona. Percorrendo le strade, riconoscendo i paesaggi, confrontando il passato col presente, contando i passi che separano la fonte del fiume dalla sua foce. La geografia è la somma di tutte le discipline studiate a scuola: storia, matematica, letteratura, diritto, tecnica, ginnastica, arte... La geografia è La Summa ed è viva.

Ho conosciuto un geografo, tempo fa. Amava la geografia e l'onorava con tutto se stesso: dalla rotondità dell'epa, alla saggezza accumulata nei suoi viaggi. Mi ha trasmesso il suo amore e, assieme, anche qualche trucco di vita.
Come le liste delle cose da portare con sé nel bagaglio durante un viaggio. Anzi, durante tutti i tipi di viaggi. Luoghi freddi, caldi e temperati. Al mare, in montagna, in campagna o in città. Viaggi brevi, viaggi lunghi. Posti sperduti nel nulla o luoghi frequentati fin troppo.
Ogni viaggio ha la sua lista, diceva. Inizia a scriverne una alla prima occasione, poi di volta in volta aggiungi o togli qualcosa per adeguarla al nuovo viaggio. Ti troverai presto con tante liste quanti sono i tipi di viaggio e preparare i bagagli non sarà più un problema.
La prima occasione per me è stata la vacanza a Roma: viaggio in città di una settimana a fine estate.
Ho scritto la lista del bagaglio un paio di settimane prima di partire, il giorno dopo ho compilato la lista delle cose da fare e l'ansia da viaggiatrice una tantum s'è acquietata.

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La mia lista è divisa in più parti: l'elenco del guardaroba con i vestiti e gli accessori per otto giorni in città, e gli elenchi "fissi" dei prodotti della cura personale (dallo spazzolino al rossetto, passando per le lenti a contatto), degli oggetti tecnologici (telefono, fotocamera, caricabatterie e batterie), di quelli per lo svago (libri, taccuino e diario di viaggio) e l'elenco dei documenti. L'ho scritta su tre fogli coi buchi e li ho portati con me in una busta di piccole dimensioni: accanto a ogni voce c'è un quadratino da sbarrare uno dopo l'altro man mano che inserisco le cose nel bagaglio - un trattino a matita verso destra all'andata e uno verso sinistra al ritorno.

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Lista visiva delle cose da tenere in borsa: il diario di viaggio, la bottiglietta d'acqua, gli occhiali da sole, l'astuccio con matite e gomma, il disinfettante per mani, la liquirizia, la farfalla portapasticche, la macchina fotografica, la penna, il taccuino, il portamonete, la tavoletta di cioccolato fondente, l'astuccio del pronto intervento.

Di solito scarabocchio e butto le liste nel cestino, ma non questa volta: ho cancelllato i trattini a matita e l'ho riposta al sicuro in una piccola agenda, il mio quaderno dei viaggi.
Non si sa mai, potrei averne bisogno presto.

Buon vento



giovedì 1 ottobre 2015

Annibale


Prima di questa rubrica non mi era mai accaduto. Ora, invece, quando entro in libreria mi dirigo subito nel settore viaggiatori. A casa ho un Chatwin, una raccolta di Kerouac e tutti i Terzani, ma sono gli sconosciuti quelli che mi attirano di più. E io Annibale. Un viaggio di Paolo Rumiz non lo conoscevo.

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Lascio che lo sguardo indugi tra i titoli e, se qualcuno mi cattura, la mano s'allunga per prendere il libro, rigirarlo, aprirlo e sfogliarlo. Lascio che l'istinto mi dica: "Prendilo!" e lui viene a casa con me.
Con Annibale c'è stato un colpo di fulmine: il titolo mi ha incuriosito, il viaggio mi ha inchiodato, lo stile mi ha avvinto. Un libro rivelazione, per me.
L'autore è un giornalista e un viaggiatore, vede le vicende del mondo contemporaneo dal vivo e vive la geografia viaggiando. In Annibale racconta un viaggio nel tempo, sulle tracce del generale cartaginese: dalla Tunisia alla Spagna, dalla Francia all'Italia, dall'Italia di nuovo in Tunisia e poi in Turchia. Seguendo le sorti, le strategie militari e i grandi sogni di quest'uomo antico.
Si può viaggiare in ogni dimensione: è la motivazione il vero carburante di un viaggio, è il ricongiungimento della domanda alla risposta - la conquista, la ricerca, la necessità. La voracità della conoscenza, l'emozione della scoperta, il piacere della conquista. Ancor più quando si viaggia sulle linee di un paesaggio divenuto carta storica.
È vero, quindi: si può viaggiare nella quarta dimensione, il tempo. Non solo a occhi a perti, sognando un futuro di piccole cose: anche a ritroso, nel passato. Quante volte ho seguito col dito le linee tracciate su una carta geografica, immaginando gruppi di genti nelle loro migrazioni? Mi spostavo con loro lungo rotte marine, risalendo fiumi e svalicando catende montuose, mi fermavo nella terra promessa assieme alle loro tradizioni e credenze, incontravo le genti del posto e li osservavo fondersi assieme in una nuova cultura, in un nuovo popolo - un nuovo tassello verso la storia odierna.


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Si può viaggiare per passione e quando la passione è la storia antica può essere un viaggio infinito.

Buon vento

giovedì 24 settembre 2015

Vacanze romane

Sono stata in vacanza a Roma, per una settimana, da sola. Parto per curare la stanchezza mentale e la cura è: fare il pieno di bellezza, ho bisogno di rinnovare le emozioni.
Non so se la cura funziona. Per quanto Roma sia uno scrigno di bellezze, il mio sguardo si ferma su altro, il lato B della città. E le emozioni rimbalzano.
Parto da sola, ma divido le mie giornate tra peregrinazioni solitarie e incontri con persone speciali. Guidata da loro vedo Roma attraverso un caleidoscopio di abitudini, sentimenti, racconti. Vedo la loro Roma, che mi riempie l'anima e dà forma alle strade e colore ai palazzi.
Volevo fare il pieno di bellezza - dicevo - e lasciare che gli occhi ingurgitassero i marmi, le argille, l'oro dei mosaici, le forme rigorose o barocche, le cime vaporose dei pini marittimi scossi dal Ponentino. Ma quando sono sola vedo soprattutto tanta gente proveniente da ogni parte del mondo, turisti mirmidoni e abitanti esotici. Gente con una missione nella vita quotidiana, un compito da svolgere entro sera con una buona parola al dio dei trasporti: che tutto vada bene, che tutto funzioni, che l'aria sia sufficiente là dentro, che lo spazio abbondi...
A volte scopro angoli della città di cui subito m'innamoro, luoghi carichi di storia e poesia, dove il tempo si ferma mentre tutto attorno il traffico e la fretta non danno tregua. Nuovi luoghi dell'anima da collocare nella mia mappa mentale: tornerò tra qualche anno per assicurarmi che la loro magia sia rimasta immutata. 

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Le città hanno su di me un effetto positivo: quel senso di libertà misto alla scoperta dell'eterno nuovo mi rende viva. Qui, invece, mi sento schiacciata: dal caldo anomalo settembrino, dall'implacabile ressa di gente, dai mezzi di trasporto spaventosi. La sera, da sola nel buio della mia stanza, mi chiedo cosa mi stia succedendo. Roma, l'Urbe, non è una vera città: è un parco giochi logorato, invaso da turisti, mendicanti e uomini in giacca e cravatta o tonache lunghe. Così tanti stranieri da formare uno strato impermeabile. Non ero pronta.
Un'amica mi dice: " Spero che Roma sia all'altezza delle tue aspettative". Rispondo: "Sono io a non essere all'altezza delle mie aspettative - troppa stanchezza, forse."
Ma in realtà la risposta è una sola: sono passati quindici anni dal nostro ultimo incontro, Roma s'è fatta più indifferente, io mi son fatta più sensibile - siamo cambiate entrambe, Roma e io.

giovedì 3 settembre 2015

Da un lago all'altro in moto

Domenica di sole, aria fresca, lavori in casa (questa vecchia casa gelosa di noi) e di riposo. Ma anche di moto: per festeggiare le coincidenze perfette, ci regaliamo un breve giro tra il Lago d'Orta e il Lago Maggiore.
Dalle colline alle sponde del piccolo lago, blu e luccicante sotto il sole. Nonostante sia piccolo e chiuso tra le colline, questo lago mi affascina ogni volta. Mi dà l'impressione che qui il tempo si fermi e che la presenza umana sia solo una parentesi. Osservo le bellissime case, i palazzi sull'isola, la strada, i sentieri, le passeggiate, gli edifici difensivi e religiosi: eppure davanti ai colori della natura mi convinco che qui c'è molto di più, qualcosa di eterno e di sacro che permea tutto. Qui si respira una spiritualità profonda.
Ci lasciamo le onde del piccolo lago alle spalle, saliamo sulle colline che fanno da spartiacque: tre signori seduti sul retro della chiesa, al fresco, le mani appoggiate al bastone; case antiche rese nuove, case nuove che sembrano già vecchie, cancelli, prati, il silenzio del pomeriggio caldo, profumi di carboni ormai spenti. Più su, in mezzo ai pascoli, s'intravvede una mandria di mucche bianche. Attraversiamo tre torrenti dai nomi esotici, sfioriamo una pista da motocross, tre cascine di epoche diverse, un 'area picnic con tavoloni di legno e bidoni della differenziata. Stringo le palpebre su un ponte "tanto corto e tanto alto" - dice il marito. I profumi quasi dissolti nell'aria.
Giungiamo a Gignese, paese a metà strada da tutto: il Mottarone, Stresa, i due laghi. Ci fermiamo per guardarci attorno e, intanto, i pensieri corrono in qualsiasi direzione.

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Da Gignese alle sponde del Lago Maggiore. La nostra tappa è Stresa e solo quando arriviamo, accolti da un'aria pesante e umida, ci accorgiamo di quanto sia fresco sull'altro lago. Qui facciamo i turisti: un gelato, una passeggiata in centro, soste curiose davanti alle vetrine dei negozi. C'è ancora tanta gente e un'atmosfera sospesa, come se tutti si sforzassero di non pensare alla fine delle vacanze.

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Da Stresa a casa, accarezzando con lo sguardo il lago. È ormai sera, la sponda piemontese è in ombra - il sole tramonta alle sue spalle. Posso bearmi dello spettacolo: la sponda lombarda è colpita dall'ultima luce del giorno, alle sue spalle colline e monti sfumati di grigio, ai suoi piedi uno specchio azzurro di luce dorata. Su tutto, il cielo con gli ultimi colori dell'iride - rosa, lilla, azzurro, blu. E il profumo dell'osmanto di sottofondo, dolce e pungente.

Buon vento!

giovedì 27 agosto 2015

Le acque esotiche del Lago Maggiore

Passeggiavo lungo la riva del lago e mi sono ritrovata in acque esotiche. Come se avessi attraversato un portale magico, sollevato un velo d'aria o guardato da una finestra spazio-temporale.
Passeggiavo lungo la riva del lago, godevo del caldo temperato di una quasi sera di fine agosto. Poche persone in giro, ma c'era quella luce speciale, calda e avvolgente, che fa risplendere ogni particolare: i monti in lontananza, il castello d'Angera, le scie dei battelli tra le onde del lago, le foglie verdi dai rami degli alberi, le strisce pedonali rosse, l'asfalto grigio, le macchine, qualche nuvola, il cielo blu. Tutto brillava di una luce viva: sta iniziando il periodo più bello dell'anno, con quel misto di nostalgia per l'estate vissuta e un pizzico di curiosità per l'autunno ancora da vivere.
Passeggiavo e mi godevo tutte queste sensazioni e i pensieri già volavano alti. Forse troppo alti: mi son   distratta un attimo a rincorrerli, e mi ritrovo sulle rive di un fiume asiatico. 
Due borsoni ricolmi di insalata appoggiati sulla spiaggia, l'acqua di quel colore indefinito tipico delle rive, le onde che s'inseguono e s'allargano tra la sabbia e gli scafi delle imbarcazioni. Con lentezza, anzi: pigrizia. Due donne chine sull'acqua, i piedi immersi e le schiene ricurve: lavano la verdura con gesti consueti.

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Se non avessi guardato oltre, verso i battelli della Navigazione del Lago Maggiore, avrei creduto di trovarmi in un 'altra dimensione. Per qualche minuto ho viaggiato più veloce della luce e sono stata sulle sponde di un fiume orientale.

Buon vento

venerdì 14 agosto 2015

Di sera, a passeggio col cane per Invorio

Ho liste di luoghi da perlustrare, di biblioteche e musei da visitare, di libri da consultare. Giri in moto programmati da mesi e pregustati. Ma il caldo mi appiattisce: limito le uscite al minimo indispensabile, possibilmente in luoghi con l'aria condizionata. E poi ci sono i lavori in casa e il lavoro quotidiano, che raddoppia il carico... A volte ho l'impressione che pure viaggiare con la mente sia faticoso.
Rimangono le passeggiate serali con il Baldo per le vie del paese. 
Usciamo tardi, quando le famiglie son riunite attorno al tavolo e alla televisione e in giro ci sono solo i ragazzini dalle energie inesauribili e i cani coi loro padroni. Il silenzio è profondo e denso. A volte qualche macchina saetta sulla strada verso altri luoghi, rombando. 
Noi seguiamo il nostro percorso: la piazza rotonda, il municipio, l'edicola, la biblioteca, l'albergo abbandonato, il prato sotto la chiesa, la casetta della Pro Loco, i giardini pubblici, la Posta, la strettoia delle pompe funebri e infine la breve salita del vicolo fino a casa.
Questa volta cambiamo e dalla piazza rotonda imbocchiamo la via Odazio. È una delle mie preferite: c'è sempre qualcosa da osservare, qualche particolare nuovo che si mostra impaziente, un miscuglio casuale di passato e presente, tracce pesanti di restauri, ristrutturazioni e pasticci. La percorro col naso all'insù e la macchina fotografica pronta a prendere al volo quei labili indizi di storia, sparpagliati come in una caccia al tesoro.

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Vecchie insegne dipinte sui muri rievocano il chiacchiericcio dei negozi, scherzi e saluti di gente che si conosce da tempo, saracinesche sollevate al mattino presto, profumi di cibo che galleggiano nell'aria dalle porte spalancate. Portoni storti, dimessi, rovinati dal tempo e dall'incuria, nascondono cortili lastricati, giardini pensili e lussureggianti che pendono dai balconi e trasformano il buio della sera in una foresta sussurrante. Lacerti di affreschi antichi, ignorati e mai guardati, fiancheggiano grottesche dipinte di recente ad abbellire un tratto di muro - l'amore per la propria casa. Intonaco che si disfa, cemento che rattoppa, pietre antiche messe in mostra, altre nascoste perché troppo interessanti.
Poi la via finisce, tra vecchie case ristrutturate di recente e da troppo tempo, e sfocia nella strada di tutti i giorni. Ci lasciamo la storia alle spalle e torniamo nel presente, col Baldo che tira il guinzaglio per snasare da vicino le briciole della pasticceria e ha premura di incontrare altri cani.

È in questi momenti che la mia parte cittadina fa pace con il paese in cui vive: ogni luogo ha una storia da raccontare e piccoli tesori da svelare a chi è curioso.

giovedì 6 agosto 2015

I Borromeo e il Lago Maggiore

Io mi sono emozionata. Non ero lì, a vedere coi miei occhi lo sfavillio della bellezza e la gara di splendore tra vecchia e nuova aristocrazia e vecchio e nuovo (sempre nuovo) lago - ognuno con i propri gioielli ben in vista, le proprie medaglie e il peso dei secoli di storia condensati in una manciata di ore e di giorni. Non ero presente, ma se ci penso mi emoziono.
Perché i Borromeo sono i "nostri principi", per noi gente di lago.  

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Borromeo è uno dei primi nomi che impariamo a scuola quando scopriamo la storia del nostro paese e che incontriamo la domenica a spasso assieme alla famiglia: la Rocca Borromea di Arona, la Rocca di Angera, il golfo Borromeo, le isole Borromee, il San Carlone e il mai compiuto Sacro Monte di San Carlo di Arona, la strada Borromea per il Mottarone... Ovunque andiamo, qui sul lago, ci sono loro.
Ci sono fin dalla metà del Quattrocento, quando Vitaliano Borromeo riceve dal duca di Milano in feudo le terre del Lago Maggiore. I Borromeo, come me, non sono originari del lago: dalla Toscana giungono a Milano per motivi politici ed economici - sono commercianti e banchieri - e legano le loro sorti con quelle dei duchi di Milano. Sono diventati conti di queste terre, le hanno amate, amministrate, hanno combattuto per loro, finché la storia - loro e del Lago Maggiore - è cambiata.
Vengono da altri luoghi e vivono in altri luoghi, ma sono sicura che il lago con i suoi gioielli sia dentro il loro cuore. Come capita a me.

sabato 25 luglio 2015

Un giro in moto a metà

Domenica calda di luglio. Una buona occasione per scappare in moto verso il fresco delle valli.
E così facciamo: al mattino presto saliamo in sella alla nostra moto e partiamo.
Mentre si va l'aria fresca ci avvolge rassicurante; non ci fossero i semafori o le precedenze da rispettare, ci potremmo quasi dimenticare del caldo.
In ogni caso ci pensa il lago a distrarre i nostri pensieri: mai visto così luccicante! Il sole del mattino si diverte a colpire le onde con manciate di brillantini. Difficile distogliere lo sguardo, mi sento come stregata.
Di solito osservo le ville, i fiori colorati, i soliti particolari che mi diverto a ritrovare diversi a ogni giro: un'occhiata a destra, una sinistra... Oggi, però, sono ammaliata dal luccicore dell'acqua.
La strada fiancheggia il lago e sale da Arona a Stresa, da Baveno a Verbania e poi più su, verso Ghiffa, Cannero e infine Cannobio, la nostra prima meta.

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Di domenica a Cannobio c'è il mercato, si snoda sul lungolago e in piazza, togliendo il fiato come una barriera di teli all'aria fresca della sponda opposta. Fa caldo, un caldo estivo, di quelli che sanno di tendoni abbrustoliti, di gente sudata, di fiori esausti e di gelati golosi.
Ci fermiamo a bere qualcosa di fresco, ma non basta. Cerchiamo le scale e l'ombra per salire nel centro storico, ma non basta: il caldo c'insegue, è dappertutto, è dentro di me. Soprattutto è nella mia testa. Talmente tanto che, mentre mangio, ogni boccone si trasforma in una palla di fuoco, le orecchie si spengono, gli occhi iniziano a vedere una monotona sfumatura grigia. Mi salva la fontana e la sua acqua fresca sulla testa, sui polsi, sul viso e sul collo.
Tutto bene, avevo solo un po' caldo.
Risaliamo in moto per raggiungere l'aria di montagna della Valle Vigezzo: infilare giacca e casco è un piccolo supplizio. Percorriamo le prime curve dell'ombrosa Val Cannobina, ma il malessere torna: sento poco, fatico a parlare, ho bisogno di togliermi il casco e sedermi un attimo. Magari mi sdraio per due minuti...
Tutto bene, pare sia passato.
Di nuovo in sella, senza giacca questa volta e con la mentoniera del casco alzata. Scegliamo di rimandare il giro delle valli a un'altra occasione, preferiamo tornare a casa per non rischiare. Di nuovo verso Cannobio, Cannero, Ghiffa e finalmente Intra. Finalmente perché sto di nuovo male, anzi: peggio.
Mi scoppia la testa dal caldo, non sento, vedo appannato, boccheggio, ho sete, ho la nausea. Bevo quasi due litri d'acqua fredda, mi bagno polsi, mani, braccia, collo, testa in continuo. Ma non miglioro. Decido di chiamare il 118 e l'operatore mi dice: "stia al fresco e beva". Decido di chiamare qualcuno che mi venga a prendere e mi riporti a casa in macchina, con l'aria condizionata accesa.
Quando sono a casa mi occupo solo di abbassare la temperatura del corpo e della testa con litri e litri di acqua fresca dentro e fuori. Verso le quattro del mattino, finalmente, ho freddo.

Cosa mi rimane di questa esperienza? Un grande spavento.
Stare male quando si viaggia in moto vuol dire essere allo sbaraglio: la capacità di prendere la decisione migliore, senza farsi prendere dal panico, è fondamentale. È importante anche ascoltare il proprio corpo e riconoscere subito i sintomi di un malore.
Purtroppo, per quanto forti e pressanti, non conoscevo i sintomi del colpo di calore.
Per fortuna a star male ero io (il passeggero) e non mio marito (il pilota). Per fortuna eravamo su una strada turistica, piena di paesi, locali aperti e gente. Per fortuna siam riusciti ad avvicinarci a casa. Per fortuna a casa c'era qualcuno. Per fortuna guidava una macchina con l'aria condizionata.

Con questi pensieri in testa, auguro a tutti buon vento,
un vento forte e freddo che annienti l'afa e riporti il sereno e temperature migliori.

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