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venerdì 11 agosto 2017

In moto: su per il passo della Colma e giù per la Cremosina

In archivio trovo questo ricordo. Risale all'inizio di giugno, a quei giorni di rientro "forzato" dalle vacanze al mare.

La prima cosa che sento è il profumo della pioggia che fu. Sa di terra ubertosa e di boschi che crescono rigogliosi.
Di boschi ne attraversiamo molti, qui su queste colline che separano il lago d'Orta dalla Valsesia: verdi, frondosi e freschi - perfetti per un giro in moto in un giorno caldo di fine primavera.

Non è ancora estate, ma fa caldo. Partiamo di mattina presto, quando l'aria è ancora fresca: torniamo a casa dopo giorni di passeggiate e abbiamo voglia di un bel giro in moto. La meta è un pretesto per salire in sella e sentirsi liberi: andiamo a Varallo Sesia, città della Valsesia, del primo Sacro Monte (realizzato nel Quattrocento) e di Gaudenzio Ferrari, l'artista che portò il Rinascimento nell'alto Piemonte da Roma.

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Ci sono due strade che uniscono il lago d'Orta alla Valsesia: il passo della Colma, che da Arola arriva a Civiasco e subito dopo a Varallo Sesia, e la Cremosina, che collega con dolcezza Pogno e Quarona. Due strade diverse che attraversano i boschi di tre province: Novara, Verbania e Vercelli, nell'alto Piemonte orientale.

Sulla carta le distanze sembrano lunghe, in moto invece tutto si fa più vicino e fluido.
La strada provinciale 88 della Colma: fatta di tornanti, pura gioia per i motociclisti, sale e scende tra pareti e picchi di roccia rivestiti di verde. Si trova in alto, in un punto più collinare - si sente e vede bene.
La strada provinciale 45 della Cremosina: un nastro che si dipana con dolcezza, curve morbide, lievi salite e lievi discese. Si trova in basso, in un punto più pianeggiante: Più veloce, più immediata, ma sempre ricca di particolari.

Un giro in moto ci voleva, uno di quelli che regalano pace e riordinano i sentimenti.

venerdì 4 agosto 2017

Tre laghi in tre giorni

Abbiamo avuto ospiti, un fine settimana di luglio. Tre giorni per visitare le nostre bellezze, ma senza correre.

Mi piace mostrare qualcosa che sia legato da un filo conduttore, perché chi passa di qui per la prima volta se ne innamori e non lo scordi più.
Il filo conduttore è stato il lago. Non lo stesso lago, bensì un lago diverso per ogni giorno di visita: venerdì il Lago Maggiore, sabato il lago di Mergozzo e domenica il lago d'Orta.


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È venerdì sera, il cielo è limpido e l'aria si sta rinfrescando. Il posto migliore (e più vicino a casa nostra) per guardare il Lago Maggiore dall'alto è la Rocca di Arona. Dal belvedere si notano le coste piemontese e lombarda che si avvicinano per poi separarsi, si distingue il candore dell'Eremo di Santa Caterina e s'immagina il Golfo Borromeo che si apre, lassù, con le sue preziose isole. Qualche altro passo e si rimane estasiati ad ammirare i tetti rossi di Arona, le scie blu tra le onde e, laggiù, il lago che si restringe e lascia il posto al fiume Ticino.


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È sabato sera, poco prima del tramonto: il momento giusto per assistere allo spettacolo di colori sull'acqua. Il lago di Mergozzo è piccolo, dalle acque scure (ma è solo il riflesso degli alberi circostanti), sembra quasi una piscina naturale: c'è chi nuota, chi si tuffa dalle rocce, chi pagaia. L'acqua è pulita: non c'è alcuna imbarcazione a motore, né alcuno scarico inquinante. A un'estremità si affaccia il paese di Mergozzo, all'altra un piccolo canale lo collega al Lago Maggiore; tutto intorno il Montorfano e gli inizi della Val Grande.


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Domenica mattina lasciamo che i nostri ospiti si godano l'atmosfera del lago d'Orta in solitaria. Dalle sponde di Orta San Giulio, lungo la passeggiata che ben conosciamo, per lasciarsi rapire gli occhi e la mente da ville - tra cui spicca Villa Crespi con il suo minareto turchese e gli illustri proprietari -, le onde, l'isola di San Giulio, le piazze, i cortili e le terrazze affacciati sull'acqua. E poi su, oltre la chiesa in cima alla scalinata, sulla strada che porta al Sacro Monte dedicato a San Francesco.



Il Lago Maggiore ai quattro venti:
Il Lago Maggiore + pillole di... (scaricabile)
Il giro del Lago Maggiore in moto: la tradizione continua + itinerario (scaricabile)

Il lago d'Orta ai quattro venti:
La passeggiata sul lungolago di Orta San Giulio + quattropassi a... (scaricabile)
Il giro del lago d'Orta in moto + itinerario (scaricabile)

venerdì 14 aprile 2017

Quelle campane d'Invorio

Questa è la storia delle campane d'Invorio, vista e interpretata da un'invoriese per caso.

C'era una chiesa costruita su una collinetta a guardia del paese: sotto scorreva la strada che attraversa Invorio per unire le sponde del Lago Maggiore con quelle del lago d'Orta. C'erano anche un campanile e un prete innamorato delle sue belle campane.

Le campane suonavano spesso e volentieri:
  • per segnare l'ora - due volte, un minuto prima e un minuto dopo, tanto per esser sicuri (alle 09.59 e alle 10.01, per esempio)
  • per segnare la mezz'ora - tanti rintocchi quante sono le ore e un rintocco a metà
  • per segnare l'inizio e la fine della giornata - la stessa sonata allegra alle 07.30 e alle 20.15

Tutto il giorno era scandito da un pimpante scampanellio, a cui si aggiungevano le sonate speciali:
  • la marcia nuziale - di domenica per i matrimoni in chiesa e di sabato per quelli in municipio
  • le sonate dei dì di festa - santi, patroni, festività religiose e civili
  • le campane a morte - c'è stato un anno in cui ogni giorno si celebravano funerali, 'na tristezza assoluta

C'era, poi, il periodo di Natale: da metà pomeriggio fino a sera, le campane suonavano stentoree tutto il repertorio di inni e carole. Per ore e ore, e pure un po' stonate: impossibile non accorgersene, impossibile sentire altro (anche con le finestre chiuse ermeticamente).

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Finché un bel giorno di giugno un fulmine (divino?) le zittì. Che pace! Che gioia per le orecchie! Che silenzio piacevole, quasi irreale!
Il tempo, finalmente libero da ogni rintocco, sembrava prendere nuovi ritmi. I matrimoni risuonavano di risate e auguri sinceri. Le mattine iniziavano col canto degli uccellini e le sere si spegnevano coi giochi dei bambini. La vita procedeva nel migliore dei modi.
Ma durò poco. Il campanaro aggiustò le campane e il prete tornò a gioire del loro suono stonato.

Finché un (altro) bel giorno arrivò un nuovo prete. Forse fu per il suo orecchio sensibile o forse fu per qualcos'altro, ma le campane si fecero più discrete.
Ora suonano per segnare l'ora (solo un minuto prima), la mezz'ora (con un solo rintocco), l'inizio e la fine della giornata (stessi orari, tranne la domenica mattina alle 08.00), le feste religiose, i funerali e qualche matrimonio. Con riserbo e cautela.

La storia cambia, ma le campane stonate rimangono.


Buon vento

venerdì 3 marzo 2017

Di sabato a Milano, nel cuore del Progetto Porta Nuova

Per un sabato al mese, al mattino presto scendo dal treno nella stazione di Porta Garibaldi di Milano.
Attraverso la strada, prendo le scale mobili, percorro Piazza Gae Aulenti e proseguo fino alla scalinata che scende al Piazzale Principessa Clotilde e a Porta Nuova.
Arrivo quando i negozi sono ancora chiusi e gli operai già lavorano nei cantieri.

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Mi piace:
la superficie lucida dei grattacieli che riflettono l'umore del cielo
l'acqua che scorre dalla fontana, indefessa
le vetrine illuminate dei negozi vuoti
il legno congiunto all'acciaio in forme sinuose
la sospensione dal tempo
le gru sempre in movimento
i pochi passanti, con l'aria di godersi la solitudine
i pali con le indicazioni stradali
la passerella sul traffico di Via Melchiorre Gioia
l'aria di città nuova
le promesse, mantenute e future

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Ritorno di sera e l'atmosfera pacata non c'è più: gruppi di persone che parlano e ridono in ogni lingua, scattano foto, discutono al telefono e vivono nei negozi.

Quando sono da queste parti mi sento felice, mi sento "a casa".

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sabato 18 febbraio 2017

Su e giù per Bergamo

In una luminosa domenica d'inizio inverno, andiamo a Bergamo per scoprirne le bellezze in compagnia di cari amici.

A Bergamo ci son stata tre volte, anni fa, per studio e per lavoro: non ricordo nulla. Perciò questa gita fuori porta ha il profumo della scoperta. Come guide abbiamo i nostri amici, che ci raccontano la città col calore dei ricordi e il sorriso della familiarità.

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Il centro di Bergamo bassa già mi piace molto. C'è gente che passeggia nel sole, all'uscita da messa, verso le case di parenti e amici o col solo desiderio di godersi la bellezza e la serenità. Mentre chiacchieriamo ci guardiamo attorno: negozi, pasticcerie, ristoranti, il mercatino coi suoi odori e colori, le pubblicità argute dei musei, i monumenti e, lassù, la città alta.
Dopo un pranzo da Eataly e un giro da Tiger (attrazione, ahimè, irresistibile), riprendiamo la nostra strada in mezzo a palazzi signorili di ogni epoca per arrivare con calma ai piedi della funicolare {}.

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Dunque, la funicolare... Le altezze non mi piacciono, divento nervosa, ma mi piace quel che posso trovare là in alto. Perciò ci salgo, guardo le piante che s'aggrappano ai bastioni veneziani del Quattrocento, sbircio verso i tetti in basso e tiro un sospiro di sollievo appena arriviamo.

Arriviamo in un altro mondo, che sa di antichità, di saggezza e ricchezza d'altri tempi. Le strade salgono e saliamo anche noi, prima verso la Rocca sul colle di Santa Eufemia, poi verso Piazza Vecchia con la Torre Civica duecentesca.

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Una meraviglia: sotto ai portici, sul pavimento, si mostra un orologio solare {}, con l'analemma: il sole, nel suo viaggio annuale, entra da un disco forato appeso sul lato meridionale dei portici e colpisce le costellazioni, gli equinozi, i solstizi.
Di fronte la cappella di Bartolomeo Colleoni, Capitano Generale della quattrocentesca Repubblica di Venezia - con il suo stemma sorprendente {} e lucido lucido - e la Basilica di Santa Maria Maggiore dai ricchissimi ed enormi arazzi. 

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Poi però il sole cala e il freddo punge. Ci vuole una pausa per un tè, una cioccolata con panna e una dolcissima polenta e osei.
Giunge l'ora di tornare a casa, verso altre pianure, altri fiumi e altre colline. In macchina non possiamo fare a meno di rivivere la giornata: la città è ricca, piena di sorprese e unica nel suo genere. Da rivedere presto, magari in primavera o all'inizio dell'estate, sempre con i nostri amici.

Che giornata, bellissima.

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 {All'inizio, nel 1887, era a vapore, sostituito cinque anni dopo con la trazione elettrica. 
 {Risale al 1798 e segna il passaggio del sole a mezzogiorno.
 {Pare siano tre testicoli, cosa di cui il Capitano Generale fu molto orgoglioso.

venerdì 20 gennaio 2017

In treno, prima dell'alba e dopo il tramonto

Sto viaggiando più del solito. Le mie destinazioni sono grandi città italiane: Milano, Roma, Torino, Bologna.

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Parto al mattino prima dell'alba. 
Prendo un treno, nel silenzio assonnato del vagone stanco. 
Faccio colazione in stazione, nel rumore assordante di cucchiaini e tazzine, ordini urlati da una parte all'altra del bancone, discorsi in ogni lingua e in ogni tono.  
Prendo un altro treno, nel quasi silenzio educato della gente che lavora. L'Italia scorre dal finestrino.
Arrivo in città, abbraccio le persone che passeranno con me questa giornata. Corriamo verso il luogo dell'appuntamento e il dove e il quando spariscono.
Poi, tra l'ultima luce e i primi bui, corriamo verso la stazione e ci salutiamo.
Prendo un treno, nel rumore caotico dei miei pensieri, mentre l'Italia si riavvolge oltre il finestrino.
Faccio mente locale in stazione. Seguo le luci arancioni e raggiungo il binario, zigzagando tra qualsiasi tipo di gente.
Prendo un altro treno, nel torpore della stanchezza. Combatto per non chiudere gli occhi e non perdere la fermata.
Arrivo la sera dopo il tramonto.

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Sto viaggiando più del solito. A Milano, Roma, Torino, Bologna. Delle città vedo ben poco, delle stazioni prendo le misure. Viaggiare per lavoro è una delle cose più belle che ci sia.

venerdì 13 gennaio 2017

Sui sentieri di Invorio

Nove giorni chiusi in casa da una doppia influenza (mia e del marito). Nove giorni di sole brillante e cielo terso - e aria di ghiaccio. Me me accorgo quando esco ad aprire e chiudere le persiane, le uniche sortite quotidiane.
Il decimo giorno non stiamo più nella pelle, vogliamo uscire! Una passeggiata tranquilla, un giro veloce, qui a Invorio. Così lasciamo la casa: i bipedi imbacuccati da testa a piedi, il quadrupede zampettante d'impazienza.

Il bello di Invorio è che si trova nel Vergante e alterna i centri storici delle tante frazioni a cascine antiche, campi, villaggi moderni e boschi.
Tempo fa ci siamo imbattuti per caso in un cartello intrigante: "Percorso della Memoria", diceva. Oggi lo seguiamo per scoprire dove ci porta.

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Attraversiamo piazza Vittorio Veneto, quella del municipio, imbocchiamo via Cesare Battisti, svoltiamo in via Dorina Bertona Bellosta, là dove la bella casa d'epoca e un cartello segnano l'inizio del percorso. Fiancheggiamo la fabbrica della Barazzoni (hai presente le pentole? Ecco, le fanno qui) e percorriamo la via Dorina Bertona Bellosta, tra campi, boschi e ville residenziali.
Un nuovo cartello segna la direzione del percorso, lungo una strada di terra, che ben presto si dirama in due sentieri. Seguiamo quello di sinistra e ci addentriamo nel bosco.

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E penso. Se abitassi nell'ultima villa sul sentiero, ogni domenica mattina uscirei col Baldo per una passeggiata tra gli alberi, fino a riconoscere ogni svolta, ogni ceppo, ogni profumo. Rimetterei in ordine i pensieri e ritroverei l'equilibrio, passo dopo passo, via gli affanni della settimana, via la frenesia, via tutto ciò che nella fretta intralcia. Domenica dopo domenica, imparerei a conoscere il bosco.

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Come il signore che incontriamo, nel silenzio frusciante, cui chiedo informazioni sul percorso. Poco più in là c'è un cippo commemorativo, per ricordare il partigiano Ugo Ballerini, e un bivio: a destra si arriva fino alla frazione di Barquedo, a sinistra si raggiunge la Baraggia e da lì via Cesare Battisti, per ritornare in paese.

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Solleviamo nuvole crocchianti di foglie e il marito ricorda quando, da piccolo, il bosco era pulito. I proprietari ne raccoglievano le foglie, i rami caduti, pulivano i sentieri, così l'acqua piovana penetrava nel terreno (invece di ruscellare su uno strato spesso di foglie secche e invadere le strade asfaltate) e il bosco si manteneva vivo. Una volta non era solo un posto dove passeggiare, ma una ricca risorsa di materie prime: curarlo era importante come curare la propria salute.

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Sentiamo il rumore d'autostrada, intravediamo sotto di noi una via conosciuta. Ma è lontana, è già mezzogiorno, abbiamo fame: torniamo sui nostri passi, la via più breve.
D'altronde è il decimo giorno e nove li abbiamo passati con l'influenza: meglio andarci piano.

Buon vento 

venerdì 25 novembre 2016

Sul lungolago di Ispra, come in un libro d'immagini

È domenica, forse sta uscendo il sole. A distanza di quasi un anno, continuiamo la nostra passeggiata sul lungolago di Ispra: non più scogli bianchi e alte fornaci, ma porti, giardini e panchine.

Passeggiare sul lungolago di Ispra è come sfogliare un libro d'immagini: giri una pagina e ti ritrovi in un nuovo paesaggio, assapori una nuova atmosfera, provi nuove emozioni.

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Parcheggiamo dietro la chiesa di San Martino e prendiamo la scalinata che dal centro del paese porta direttamente al lago. Si chiama Ripa Solitaria: scalini in discesa, bagnati dalle recenti piogge e coperti da larghe foglie arancio (già mi vedo per terra!); a un tratto rimane solo la discesa, mi aggrappo al corrimano - che improvvisamente sparisce.
Giungiamo (indenni) sulla Strada dell'Amore e svoltiamo a sinistra verso il porto, pronti per iniziare la nostra passeggiata.

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Si gira pagina.
Su questo tratto di lungolago incontriamo una serie di panchine colorate (viola, giallo, arancio, turchese): se vuoi, puoi fermarti e giocarci a dama, scacchi, tris, battaglia navale, filetto! E subito penso ad altre panchine: di pietra, fuori dalle chiese, con lo stesso motivo del gioco del filetto inciso sulla superficie secoli fa - non tanto per divertirsi, quanto per intraprendere un viaggio spirituale...
Incontriamo porti e rivi, salici piangenti e rive erbose. Incontriamo tanti cani a spasso con le loro famiglie. Incontriamo tanti bidoni (non cestini, bidoni) della spazzatura e cartelli che segnalano dove ci troviamo e dove potremmo andare se solo volessimo.

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Di nuovo, si volta pagina.
Davanti a noi un nastro di ghiaia si svolge tra cespugli di bacche. Oltre il muretto una breve spiaggia, un canneto piumato e, infine, il lago. Seguiamo il percorso fino in fondo, contro il muro di cinta di Villa Quassa: siamo arrivati a Ranco. Qui due possibilità: giù a destra o su a sinistra.

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Svoltiamo a destra, rasentiamo il muro verso il lago e ci troviamo in una nuova pagina.
Nessun sentiero, solo un piede di cemento alla base del muro, qualche scoglio nero, una spiaggia di conchiglie, un gruppo di gabbiani e due cigni.

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Torniamo indietro, prendiamo la stradina in salita, chiusa da due muri umidi e sbuchiamo... in un'altra pagina! 
A tutto campo l'entrata monumentale di Villa Quassa e, sul fianco, il sentiero che conduce al Parco del Golfo della Quassa.

Chiudiamo il libro, per ora.

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giovedì 17 novembre 2016

Milano di corsa

Dove vanno a finire i milanesi la domenica? 
Me lo chiedo mentre attraverso di corsa Piazza della Repubblica. Il lavoro mi porta a Milano nel fine settimana: ci arrivo presto e ne parto tardi, ogni volta a orari diversi e con treni diversi.
Le stazioni sono sempre piene, la stessa gente impegnata a cercare binari, amici, informazioni. Quando esco all'aria aperta, ho gli occhi golosi d'assaporare novità.

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Mi piace camminare in città, la mattina filtra tra le gocce di pioggia, la gente di sabato è ancora veloce, puntata verso gli impegni di lavoro, non si ferma, non guarda, parla al telefono, ascolta la musica, cammina persa nei pensieri verso gli obiettivi del giorno.

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Di domenica, invece, rimangono solo i viaggiatori: con le valigie su rotelle percorrono la  mia stessa strada al contrario. Qualcuno si ferma e mi chiede dov'è la stazione, poi mi sorride in spagnolo, francese e inglese. 
Ma i milanesi, dove sono? Li vedo correre infilati in tutine lucide e attillate, sudano concentrati, senza nulla negli occhi e la musica nelle orecchie. Corrono sui marciapiedi di città accanto alle macchine e ai tram. Li vedo trasportare sacche sportive, inseguiti da figli ciarlieri ed eccitati per l'imminente gara (calcio? Equitazione? Pallacanestro? Judo?) in cerca della macchina parcheggiata qualche isolato più in là.

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Li vedo sdraiati sotto i portici, circondati da borsoni, avvolti in bozzoli di coperte e cartoni. Si preparano un caffè, fumano la prima sigaretta, ripiegano e mettono via i propri averi, non parlano e non mi vedono. Forse non sono milanesi o forse sì.

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Il buio della sera addolcisce le strade e nasconde gli inganni, a tal punto che per entrare in stazione attraverso un ingresso "privato" (puzza di urina, corpi barcollanti, qualche folle risata, brontolii persi): giuro di non farlo mai più. Arrivo al binario, salgo sul treno e in mezzo ad altri viaggiatori continuo a farmi la stessa domanda: dove vanno a finire i milanesi la domenica? 
Forse da noi, al lago. Forse rimangono a casa, finalmente fermi. Forse visitano mostre, musei, gallerie o si perdono nel bagliore dei negozi. 
Non lo so, e da questo mi accorgo quanto io non sia cittadina.

Buon vento

giovedì 22 settembre 2016

A Santa Maria Maggiore tra profumi e proverbi

Di Santa Maria Maggiore mi son proprio presa una cotta. Certo, la conoscevo e c'ero già stata altre volte, ma è successo un po' come a quelle vecchie coppie di amici, che dopo tanti anni scoprono di amarsi e non si lasciano più. Non so cosa sarà di noi, ma di sicuro quella domenica l'ho vista con occhi nuovi e mi ha fatto battere il cuore.

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Ci siamo andati per curiosare nella Casa del Profumo (inaugurata a luglio e dedicata all'Aqua Mirabilis, cioè l'Acqua di Colonia, ideata e lanciata sul mercato da due emigranti vigezzini) e prendere un po' di fresco.

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Raggiungere Santa Maria Maggiore è facile: percorriamo la A26 (che diventa superstrada dopo Gravellona Toce, sempre sferzata da un forte vento), una via in salita per entrare in Valle Vigezzo, un paio di gallerie e un ponte, e ci siamo. Parcheggiamo la moto, ci togliamo le protezioni ed entriamo in paese.

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Quanti colori, quanta gente! C'è una gara di corsa e un bambino incita tutti i corridori con grida di incoraggiamento. Poco più in là, andando verso il Municipio, entriamo nell'edificio della vecchia scuola che ora accoglie le sale del nuovo polo museale. Facciamo un giro nel giardino, entriamo nella serra, cerchiamo d'indovinare le piante nelle aiuole, annusiamo, osserviamo. Un posto incantevole.

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Qui scopriamo che esiste una mostra all'aperto per le vie del paese, si chiama Proverbiology. Sempre più incuriositi, prendiamo la mappa e seguiamo il percorso. 
Non mi sono mai divertita così tanto!

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Quando pranziamo, all'ombra degli alberi del parco comunale e di fronte alle sagome degli spazzacamini (proprio sopra al Museo dello Spazzacamino), mi rendo conto che qui passerei volentieri le mie estati: il fresco, la vivacità, l'accoglienza, la cultura (ci sono corsi interessantissimi alla Scuola di Belle Arti Rossetti Valentini), i colori mi fanno sentire bene.
Continuo a pensarci per tutto il viaggio di ritorno, e i giorni seguenti, e pure adesso.
Eh, sì, mi son proprio presa una cotta.

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Buon vento

venerdì 29 aprile 2016

Un invito in Casa Bossi a Novara

Ci sono luoghi che conosci solo di nome e forse di fama: quando ti invitano a visitarli, la curiosità supera ogni barriera e ti predispone a qualsiasi tipo di scoperta.

È la mattina tiepida di un sabato marzolino, lascio le sponde del lago, attraverso le colline novaresi - quelle del buon vino - le risaie ancora asciutte (ma per poco) e giungo in città, sotto gli occhi della cupola di San Gaudenzio.
Novara è una città bella, con la storia scritta tra le vie e sui palazzi, a pochi passi da Milano - milanese nell'anima e piemontese di fatto. Una città piccola a cui non manca nulla, costruita su di una collina nel mezzo della pianura, tra torrenti e canali, risorgive e risaie - una città sull'acqua.
Vado a Novara per visitare Casa Bossi, il più bel palazzo neoclassico d'Italia, invitata dal Comitato d'Amore Casa Bossi.

Come sempre, quando visito una città, passo dopo passo costruisco una mappa mentale dei luoghi visitati. Questa è la mappa mentale di Novara:


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In Casa Bossi è come entrare nella mente di Alessandro Antonelli, quel genio del neoclassicismo (ti ricordi la Fetta di Polenta?): mi sembra di seguire i suoi pensieri, l'incedere del suo progetto, l'evolvere delle idee; quasi sento il tono della sua voce mentale, tra il buio freddo dell'ingresso e le nuvole di sole del cortile. Mi vien facile, perché c'è Franco Bordino, architetto e studioso dell'Antonelli, a raccontarci dei suoi pensieri, del suo progetto e delle sue idee.

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In equilibrio sotto la cupola verso Cassa Bossi

La storia di questa dimora la rende ancora più affascinante. Prima era un palazzo barocco della Contrada Sant'Agata, poi diventa un palazzo neoclassico all'ultima moda. È il 1857 e il suo nuovo proprietario, Luigi Desanti, è un ricco possidente corso, poco conosciuto da queste parti, ma intenzionato a far parlar di sé: sceglie una casa vicina alla basilica di San Gaudenzio (e alla sua futura strepitosa cupola) e per ristrutturarla vuole l'architetto più in voga (e più discusso) del momento.

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È permesso?

L'Antonelli accetta e fa la sua magia: ritmi che fluiscono dalla facciata agli interni, scanditi da pilastri portanti e pareti di mattoni - una scansione modulare visibile ovunque, dentro e fuori; una tecnica costruttiva all'avanguardia, che precorre l'uso del cemento armato. E poi l'attenzione ai particolari, per rendere ogni spazio comodo agli umani, agli animali (le stalle sono un esempio), a chi lavora e a chi si riposa. Una casa unica.

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I mattoni fan capolino

Quando il Desanti muore, il palazzo passa alle figlie e, infine, nel 1880 al Cavalier Carlo Bossi del Contado novarese - da cui prende il nome. Poi c'è la storia: le comodità tecnologiche, il nuovo secolo, la nuova cultura in città, il Futurismo e oltre.

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In cortile, sotto la cupola

Nel 1951 il figlio Ettore Bossi la lascia in eredità al Civico Istituto Dominioni. Passa un secolo dalla sua costruzione e Casa Bossi cade in rovina. Nel 1980 La Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici del Piemonte la sottopone al vincolo monumentale e storico-artistico e nel 1990 diventa proprietà del Comune.

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Piovono novità

Finché un gruppo di cittadini sensibili e coraggiosi prende in mano la situazione e crea il Comitato d'amore per la Casa Bossi: per promuoverne la conoscenza, lo studio e la divulgazione, e per far sì che questo monumento diventi un punto di riferimento per eventi, esperienze di fruizione e sperimentazione di iniziative.
Oggi al piano terra di Casa Bossi tornano le voci, lo scapiccio, l'impegno delle persone. Casa Bossi si riempie di vita, di cultura, storia, innovazione, passione, arte, artigianato, curiosità.

Buon vento, e che sia un vento di lungimiranza


Per saperne di più inizia da qui

Comitato d'amore Casa Bossi, a cura di, Un simbolo di Novara da salvare. Casa Bossi, Novara 2010
www.casabossinovara.com
 
 

giovedì 17 marzo 2016

I baracconi del Tredicino

È domenica ed è il Tredicino.
Non importa della tosse, non importa dei lavori in casa da finire, non importa di nulla: oggi si va al Tredicino!
Il Tredicino è la festa dei santi patroni di Arona, ma il Tredicino è anche divertimento, luci, musica e adrenalina: è tempo di festeggiare, è tempo di giostre!
Fin da piccola le giostre del Tredicino sono i baracconi - tutte le altre giostre sono giostre o al massimo luna park. Quindi domenica andiamo ai baracconi: io, il marito e il Baldo. 

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Trovare parcheggio sarà un'impresa: i baracconi sono proprio sui grandi parcheggii gratuiti tra la stazione e gli alberi del Lido. Perciò la prendiamo larga e scendiamo direttamente alla darsena. 
Ma anche la darsena e i parcheggi lungo la passeggiata a lago sono pieni: caravan, appartamenti-rimorchio, scalette, verande, lavatrici, stendini con panni ad asciugare e macchine lussuose disegnano un villaggio che tra poco lascerà solo qualche traccia sull'asfalto.
Man mano che ci avviciniamo ai baracconi, la musica rimbalza tra gli alberi, il profumo di fritto s'insinua nei pensieri e i sorrisi iniziano ad allargarsi. "Voglio una frittella", "Anch'io".

Da bambina m'incitavano a prendere la coda di un improbabile animale; da giovane osservavo i miei coetanei spingersi sull'autoscontro; da adulta passeggio nell'atmosfera magica fatta di luci, volumi alti, cantilene dei giostrai, colori, odori invitanti: osservo tutto, ogni particolare è una delizia.


Mentre lo zucchero della frittella mi disegna sul mento una barba di brillanti, un pensiero si accomoda in testa. Ogni anno i baracconi tornano, sempre uguali a se stessi - non mentono mai; ogni anno il tempo si ferma e s'annoda su di sé e passato, presente, futuro sono un tutt'uno. 
Ecco perché amo i baracconi del Tredicino.

venerdì 12 febbraio 2016

Tra scogli e fornaci a Ispra

È una domenica d'inizio inverno: clima mite, cappotto leggero, aria di festa. Noi andiamo a Ispra, l'aspra Ispra, per vedere gli scogli, le fornaci di calce e la nostra sponda dalla riva opposta.

A mattino inoltrato qui al porto vecchio l'atmosfera è strana, sospesa nel tempo. Il sole d'inverno accende i colori in obliquo e i colori divampano.
Imbocchiamo la Passeggiata dell'Amore, senza sapere dove porterà. Si dipana lungo un tratto di costa, in parte lastricata, in parte formata da ponti leggeri di grate metalliche che uniscono uno scoglio all'altro e attraversano proprietà private, da passerelle lamentose che aggirano spuntoni di rocce. Rientranze e sporgenze irregolari - ora nell'ombra, ora d'improvviso nel pieno della luce. Altre rocce affiorano come dorsi rugosi: scogliere di calcare che s'innalzano e inabissano al ritmo delle stagioni. In un'insenatura si mostrano isole di pietra, un incontro di azzurri (pietra, acqua cielo) che pare essere altrove, più a nord, in terre straniere. 


















E quando la Passeggiata dell'Amore finisce in una scalinata, proseguiamo.
Lontano dal lago, una strada percorre il perimetro esterno di altre proprietà private. Un campo da tennis recintato, la casa del custode, cancelli sicuri e alte siepi. S'intravede la prima fornace! Poi la strada diventa sentiero e prosegue in salita, nel bosco. S'inerpica faticosamente su gradini di terra e assi di legno: il Baldo apre la fila, noi due dietro. Quasi in cima si vede la punta di un'altra fornace! E poi un bivio: a destra si va alla cava di calcare, a sinistra s'incontra una via asfaltata che conduce in alto. Qui altre bellissime case rivolte verso il luccichio del lago, la vecchia discoteca trasformata in un condominio di lusso, un breve parcheggio e la terza fornace. 
Un piccolo tornate d'erba l'avvolge, ci fa arrivare ai piedi della struttura e, più in là, su un molo di pietra. Si protende nelle acque calme del lago, scaldato dal sole.
Ci fermiamo per mangiare un panino, riposarci e fare il pieno di bellezza. Una bellezza perfetta, surreale, indescrivibile. Una bellezza tale da esserne infinitamente grati.








Buon vento

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