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giovedì 3 settembre 2015

Da un lago all'altro in moto

Domenica di sole, aria fresca, lavori in casa (questa vecchia casa gelosa di noi) e di riposo. Ma anche di moto: per festeggiare le coincidenze perfette, ci regaliamo un breve giro tra il Lago d'Orta e il Lago Maggiore.
Dalle colline alle sponde del piccolo lago, blu e luccicante sotto il sole. Nonostante sia piccolo e chiuso tra le colline, questo lago mi affascina ogni volta. Mi dà l'impressione che qui il tempo si fermi e che la presenza umana sia solo una parentesi. Osservo le bellissime case, i palazzi sull'isola, la strada, i sentieri, le passeggiate, gli edifici difensivi e religiosi: eppure davanti ai colori della natura mi convinco che qui c'è molto di più, qualcosa di eterno e di sacro che permea tutto. Qui si respira una spiritualità profonda.
Ci lasciamo le onde del piccolo lago alle spalle, saliamo sulle colline che fanno da spartiacque: tre signori seduti sul retro della chiesa, al fresco, le mani appoggiate al bastone; case antiche rese nuove, case nuove che sembrano già vecchie, cancelli, prati, il silenzio del pomeriggio caldo, profumi di carboni ormai spenti. Più su, in mezzo ai pascoli, s'intravvede una mandria di mucche bianche. Attraversiamo tre torrenti dai nomi esotici, sfioriamo una pista da motocross, tre cascine di epoche diverse, un 'area picnic con tavoloni di legno e bidoni della differenziata. Stringo le palpebre su un ponte "tanto corto e tanto alto" - dice il marito. I profumi quasi dissolti nell'aria.
Giungiamo a Gignese, paese a metà strada da tutto: il Mottarone, Stresa, i due laghi. Ci fermiamo per guardarci attorno e, intanto, i pensieri corrono in qualsiasi direzione.

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Da Gignese alle sponde del Lago Maggiore. La nostra tappa è Stresa e solo quando arriviamo, accolti da un'aria pesante e umida, ci accorgiamo di quanto sia fresco sull'altro lago. Qui facciamo i turisti: un gelato, una passeggiata in centro, soste curiose davanti alle vetrine dei negozi. C'è ancora tanta gente e un'atmosfera sospesa, come se tutti si sforzassero di non pensare alla fine delle vacanze.

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Da Stresa a casa, accarezzando con lo sguardo il lago. È ormai sera, la sponda piemontese è in ombra - il sole tramonta alle sue spalle. Posso bearmi dello spettacolo: la sponda lombarda è colpita dall'ultima luce del giorno, alle sue spalle colline e monti sfumati di grigio, ai suoi piedi uno specchio azzurro di luce dorata. Su tutto, il cielo con gli ultimi colori dell'iride - rosa, lilla, azzurro, blu. E il profumo dell'osmanto di sottofondo, dolce e pungente.

Buon vento!

venerdì 14 agosto 2015

Di sera, a passeggio col cane per Invorio

Ho liste di luoghi da perlustrare, di biblioteche e musei da visitare, di libri da consultare. Giri in moto programmati da mesi e pregustati. Ma il caldo mi appiattisce: limito le uscite al minimo indispensabile, possibilmente in luoghi con l'aria condizionata. E poi ci sono i lavori in casa e il lavoro quotidiano, che raddoppia il carico... A volte ho l'impressione che pure viaggiare con la mente sia faticoso.
Rimangono le passeggiate serali con il Baldo per le vie del paese. 
Usciamo tardi, quando le famiglie son riunite attorno al tavolo e alla televisione e in giro ci sono solo i ragazzini dalle energie inesauribili e i cani coi loro padroni. Il silenzio è profondo e denso. A volte qualche macchina saetta sulla strada verso altri luoghi, rombando. 
Noi seguiamo il nostro percorso: la piazza rotonda, il municipio, l'edicola, la biblioteca, l'albergo abbandonato, il prato sotto la chiesa, la casetta della Pro Loco, i giardini pubblici, la Posta, la strettoia delle pompe funebri e infine la breve salita del vicolo fino a casa.
Questa volta cambiamo e dalla piazza rotonda imbocchiamo la via Odazio. È una delle mie preferite: c'è sempre qualcosa da osservare, qualche particolare nuovo che si mostra impaziente, un miscuglio casuale di passato e presente, tracce pesanti di restauri, ristrutturazioni e pasticci. La percorro col naso all'insù e la macchina fotografica pronta a prendere al volo quei labili indizi di storia, sparpagliati come in una caccia al tesoro.

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Vecchie insegne dipinte sui muri rievocano il chiacchiericcio dei negozi, scherzi e saluti di gente che si conosce da tempo, saracinesche sollevate al mattino presto, profumi di cibo che galleggiano nell'aria dalle porte spalancate. Portoni storti, dimessi, rovinati dal tempo e dall'incuria, nascondono cortili lastricati, giardini pensili e lussureggianti che pendono dai balconi e trasformano il buio della sera in una foresta sussurrante. Lacerti di affreschi antichi, ignorati e mai guardati, fiancheggiano grottesche dipinte di recente ad abbellire un tratto di muro - l'amore per la propria casa. Intonaco che si disfa, cemento che rattoppa, pietre antiche messe in mostra, altre nascoste perché troppo interessanti.
Poi la via finisce, tra vecchie case ristrutturate di recente e da troppo tempo, e sfocia nella strada di tutti i giorni. Ci lasciamo la storia alle spalle e torniamo nel presente, col Baldo che tira il guinzaglio per snasare da vicino le briciole della pasticceria e ha premura di incontrare altri cani.

È in questi momenti che la mia parte cittadina fa pace con il paese in cui vive: ogni luogo ha una storia da raccontare e piccoli tesori da svelare a chi è curioso.

giovedì 16 luglio 2015

Caldi pensieri

L'avevano detto, ma non volevo crederci: è tornato il caldo umido.
Anche qui in collina: fa caldo e si soffre. Nelle case del centro storico, fatte di pietra nei secoli scorsi, se l'aria non entra gioiosa e non smuove le tende sbarazzina, fa caldo.
Fa caldo anche a casa nostra, nonostante i muri spessi, nonostante il piccolo poggio, nonostante sia lontana dai boschi umidi. I miei pensieri scivolano via come gocce di sudore, la concentrazione evapora, a lavorare non riesco. Il Baldo giace su un fianco a occhi chiusi, ogni movimento ridotto al minimo, e segna la mappa dei punti più freschi meno caldi di casa. Forse dovrei chiudere tutto (la tecnologia scotta!) e far come lui.
I rumori sono attutiti dall'aria greve, le voci roche tacciono, il cielo è di un celeste slavato e i panni stesi ai balconi s'allungano appesantiti. Nemmeno i fiori risplendono di colori. Tutti aspettiamo la sera, il refolo d'aria, il sollievo di un giorno nuovo e la speranza del fresco.
Eppure mi tocca: devo uscire - due incombenze attendono da giorni e non possono più aspettare.
Così colgo l'occasione e - mentre attraverso il cortile e l'arco, percorro quel che resta del vicolo in discesa e attraverso la piazza - penso a com'era quest'angolo di paese tanti anni fa.

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Al posto del condominio moderno, sgraziato nelle sue proporzioni e privo di qualsiasi piacevolezza, c'erano tre case. Al piano terra un benzinaio con tre pompe, la vetrina di un negozio e un bar con tavolini e sedie per sorseggiare una bibita al fresco degli ombrelloni. Invece del monumento ai Martiri della Libertà (che dà nome alla piazza), gorgogliava la fontana a sei sponde. 
Nell'aria tremolante dal caldo posso quasi vedere l'andirivieni da un negozio all'altro, il viavai da una strada all'altra, il ritrovo sereno delle famiglie in piazza, la vivacità di un paese di contadini, artigiani e commercianti.
Tutte cose che ormai mancano - e non perché fa caldo. A questo bel paese ricco di storia e aneddoti, in passato ospitale e vitale, ai giorni d'oggi manca la brillantezza. 

Attraverso la piazza, dicevo, ma torno subito indietro: le saracinesche dei negozi son già abbassate, un'ora prima della chiusura - e non perché fa caldo.
Le mie incombenze aspetteranno un altro giorno.

lunedì 29 giugno 2015

Il giro del Lago d'Orta in moto

E poi, finalmente, arriva il Giorno della Moto. Il sole è alto e caldo, il cielo terso e ravvivato da un venticello piacevole, la moto è pronta: si parte! Destinazione: giro del Lago d'Orta.
Un giro breve, tanto per rodare i muscoli e lasciarsi tutto alle spalle - anche solo per un paio d'ore. Esiste anche un programma: una paio di soste lungo la strada per scattare qualche fotografia ai muri dipinti, una pausa gelato rinfrescante, un rientro tranquillo a casa con gli occhi ancora pieni di blu e di verde.
Però... Però per noi la moto non è un mero mezzo di trasporto, un motore su due ruote per arrivare in un posto e poi tornare: per noi la moto è il viaggio. Quando si sale in sella vien difficile fermarsi, vogliamo più profumi, più strada, più colori, più vento sul corpo!
Perciò mettiamo il programma in tasca e ce ne dimentichiamo: sarà per il prossimo giro.

È un viaggio fatto di continue discese e salite, curve, tornanti e qualche rettilineo. La strada che gira attorno al lago ne segue l'andamento: ci porta su strampiombi, versanti di colline, ponti che uniscono le sponde di torrenti, prati estesi, tra boschi di latifoglie e boschi di pini, in mezzo alla natura, e subito dopo una curva nel centro di paesi turistici, accanto al luccichio blu scuro del lago e lontano da lui.
La felicità scorre nelle mie vene come il vento sui nostri caschi.

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Dal Vergante scendiamo verso Gozzano, per poi salire sulle colline di Pogno: il paese dei muri dipinti è la nostra prima tappa. Ma non ci fermiamo, c'è una festa che riempe la piazza e ci passa la poesia: muri dipinti, ci vediamo la prossima volta!
Riprendiamo la strada che scende verso San Maurizio d'Opaglio e proseguiamo sulla Strada Occidentale del Lago d'Orta, che prosegue sulle colline verso Omegna, a nord. Questo è il cuore del distretto industriale del rubinetto: grandi edifici moderni, con giardini curati e ingressi sontuosi, belle case moderne dai colori vivaci - c'è aria di operosità, di benessere e di una tradizione artigiana trasformatasi in produzione d'eccellenza, famosa in tutto il mondo. Ma ci sono anche capannoni dismessi e cartelli "affittasi" appesi storti in un angolo della cancellata.
La strada sale, il lago si nasconde alla vista, ma quando arriviamo ad Alzo di Pella rimaniamo abbagliati dal paesaggio - come una finestra che, dalla piazza principale, si apre sul mondo. Ci fermiamo per ammirare il panorama e scattare qualche fotografia, e fatichiamo a staccare gli occhi da questa immensità blu bordata di boschi. Siamo quasi nel centro della sponda occidentale del Lago d'Orta, a sinistra scorgiamo la punta settentrionale con Omegna; a destra la Torre di Buccione alta sopra il golfo di Gozzano; di fronte si staglia l'Isola di San Giulio e nasconde in parte il paese di Orta.
Riprendiamo la strada in collina - le case signorili con una bellezza d'altri tempi s'alternano a case rustiche di pietra e legno a vista, un paese dopo l'altro - e in poco tempo arriviamo a Omegna, dove il lago finisce e il torrente Nigoglia raccoglie le acque portandole verso nord e sembra che scorra al contrario. Che posti magici, questi. 
Da qui ritorniamo indietro lungo la costa orientale, sulla Strada del Lago d'Orta, un nastro sinuoso affacciato sulle onde, tra orde di bagnanti ignudi e gruppetti di vecchie amiche col golfino appoggiato sulle spalle. Quando avvistiamo il minareto di Villa Crespi, svoltiamo verso il centro di Orta San Giulio e ci concediamo una pausa rigenerante a base di gelato: sotto una pergola di uva americana, assieme ad altri motociclisti e a famiglie in gita.

Il giro del Lago d'Orta è completo, ma noi vogliamo di più: salire e scendere le colline per raggiungere il Lago Maggiore. Quindi, via!, verso la frazione di Legro - un altro meraviglioso paese dai muri dipinti, dove incontriamo un pastore con due caprette (bellissime!) -, Armeno, Miasino, sfioriamo le falde del Mottarone, Gignese e infine Stresa. La strada si chiama Due Riviere e nasconde paesaggi che riempiono gli occhi di luce e le narici di profumi indimenticabili: boschi ombrosi, freschi e umidi, prati gialli costellati di piccole balle di fieno, aree attrezzate per il picnic presso torrenti dai nomi curiosi, una pista da motocross, case di pietra con balconi di legno, cascine abbandonate sul ciglio della strada, gruppi di case che diventano paese, legna che arde (stasera grigliata!), l'odore pungente degli aghi di pino, ristoranti, alberghi, bar con ombrelloni colorati, ville signorili di ogni epoca, e poi il lago.
Ci avvolge in un abbraccio d'aria calda, pesante e umida, e ci segue lungo la strada del ritorno, verso Arona e poi su fino alle colline del Vergante, dove ci aspetta il Baldo per una passeggiata serale. Ciao odore pungente di lago, ciao bellissime ortensie variopinte, ciao ville centenarie della Sponda Grassa, ciao vele bianche sull'acqua!

Buon vento a tutti i motociclisti della domenica

sabato 18 aprile 2015

Negli oratori di Barengo scopro il corallo

Settimana scorsa mi ritrovo a Barengo, un piccolo comune appoggiato tra le risaie e le colline novaresi all'ombra di un antico castello. Vo per oratori a caccia di affreschi del Quattrocento e scopro collane e bracciali di corallo.

Queste piccole chiese medievali nascondono spesso un tesoro di affreschi multicolori, ricchi di particolari e densi di significato: gli oratori di Santa Maria in Campagna e di San Rocco non sono da meno. Il primo si trova nel cimitero del paese ed è vecchio di almeno settecento anni: nel Trecento era la chiesa parrocchiale dell'intera comunità, ma perse questo privilegio in seguito ai disastri perpetrati dal Visconti e dal marchese del Monferrato, sempre in lotta fra loro (e già incontrati dalle parti di Invorio). Il secondo, invece, si trova quasi fuori dal paese, verso est, e risale a seicento anni fa: era stato costruito sul finire del Medioevo per invocare l'aiuto del santo protettore contro la peste.

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Adoro fare un giro attorno agli oratori. I ciottoli di fiume e i mattoni rossi dei muri perimetrali sono collocati come note su spartiti musicali: suonano una musica ordinata e armonica, ma in alcuni punti s'interrompono in silenzi improvvisi o riprendono ritmo in cacofoniche sovrapposizioni. È la musica dei secoli che avanzano, dei cambiamenti e dei nuovi utilizzi.
Appena varco la soglia, rimango rapita dalla melodia di colori, immagini e simboli che cantano la storia di quel tempo: i signori del luogo, la peste, una nascita festosa, i santi protettori, la fede.
Tra le scene di questi muri dipinti mi sorprende la presenza del corallo: i piccoli Gesù in braccio alle giovani Marie indossano parure di corallo - perle sferiche e rametti di un rosso intenso e scuro.

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Un materiale per lungo tempo misterioso, usato da almeno tremila anni per decorare i gioielli e arricchirli di un significato più profondo. Era pescato, lavorato da abili artigiani e commerciato assieme ad altri materiali preziosi. Era polverizzato e assunto come medicinale per  curare molte malattie, indossato come amuleto per proteggere le persone contro le sventure in guerra, in navigazione, contro i fulmini, per proteggere la fertilità delle donne e i bambini dalla morte improvvisa.
Poeti e naturalisti dell'antica Roma ritenevano il corallo una pianta acquatica flessuosa che s'indurisce al contatto dell'aria, e ne raccontano l'origine con un evento prodigioso.
Tutto ebbe inizio con Perseo, l'eroe figlio del dio Zeus e della principessa di Argo Danae. Fece tante cose nella sua vita: uccise la gorgone Medusa dallo sguardo pietrificante e dai capelli-serpenti, cavalcò Pegaso il cavallo alato, liberò da un mostro marino Andromeda, la sposò, diventò re di Tirinto e fondò la città di Micene. Tra tutte queste avventure, quasi senza accorgersi, causò l'origine del corallo.
Immagina: sulle sponde dell'Etiopia il mostro marino è morto, la regina Cassiopea e il re Cefeo gioiscono, la loro figlia Andromeda è salva, Perseo si china sulle onde del mare per lavarsi le mani, la testa di Medusa è appoggiata su uno strato di piante raccolte dal mare. All'improvviso, le piante a contatto con la testa di Medusa s'induriscono e s'irrigidiscono, per sempre. Se ne accorgono le ninfe del mare: stupite riprovano questo prodigio e, riuscendoci, spargono nel mare i semi di queste piante irrigidite - il corallo.

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Buon vento

martedì 24 marzo 2015

Quel che resta del castello d'Invorio: una torre, un fantasma e un romanzo.

So poco di castelli, ma quel che so è una certezza: ogni castello ha il suo fantasma e ogni fantasma ha la sua storia - e il castello di Invorio non fa eccezioni.
Tutto ha inizio domenica, una giornata bigia e bagnata: una giornata speciale, perché il cancello del castello d'Invorio è aperto ai visitatori in occasione delle Giornate di Primavera del FAI. Un'occasione ghiotta: armata di occhi ben aperti e macchina fotografica, non voglio farmela scappare.

Il castello.

Il castello ha origini antiche e a tratti nebulose: costruito su una collina, controllava tutto il territorio circostante. Nel Medioevo passò di mano in mano ai vari signori del territorio: i conti di Pombia, i conti di Biandrate, il Comune di Novara, i Visconti. Distrutto nel 1358 da Galeazzo Visconti (per non cederlo al marchese del Monferrato), ora del suo antico splendore rimangono la torre e alcuni tratti di mura del primo e secondo recinto: immersi nel parco privato assieme ai palazzi seicenteschi dei Visconti d'Aragona, sfoggiano una merlatura ottocentesca a coda di rondine.
Il suo fascino è intatto. La torre svetta sul paese ed è motivo d'orgoglio anche per una "straniera" come me: ammiro i sui diciassette metri di pietre grigie, mi soffermo (e accarezzo!) le decorazioni a rilievo dei conci angolari, ne colgo i rimaneggiamenti successivi e riconosco le caratteristiche - la porta d'accesso a qualche metro da terra, le finestre alte e strette.
Dall'alto del parco cerco il tetto di casa nostra e il lago, laggiù, oltre le cime degli alberi e le colline. 

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Il fantasma.

Nelle notti più buie e nelle menti più fantasiose, tra le pietre grigie di muri e torri svettanti, s'aggira un'ombra candida e luminosa di donna: i capelli sciolti al vento, il volto rigato di lacrime, la veste d'altri tempi e un canto di dolore che si diffonde nel silenzio. Piange la morte prematura, il tradimento, l'amore perduto, l'amore violento, l'amore dolcissimo. Piange le sue sventure, e il suo nome è Margherita.
Da viva, quasi settecento anni fa, era nipote e cugina dei Visconti, sposa del nobile Francesco Pusterla di Milano e madre. Era molto bella e il cugino Luchino tentò in ogni modo di conquistarla - invano. Francesco, adirato e oltraggiato, partecipò a una congiura per ucciderlo - invano. Margherita, rinchiusa nel castello d'Invorio e disperata per la morte del marito, continuò a rifiutarsi al cugino e costui, spazientito, la murò viva nella torre. Dove morì - invano. Perché nelle notti più buie racconta in eterno le sua storia al vento.

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Il romanzo storico.

Nell'Ottocento sbocciava e fioriva il romanzo storico - il più famoso per gli italiani è I promessi sposi del Manzoni. A quell'epoca gli scrittori romantici riportavano in vita le vicende del passato, i giovani innamorati e le lotte fra nobili casati di secoli prima: un po' per ritrovato interesse nei confronti del passato, un po' per orgoglio storico, un po' per patriottismo (e aggirare la censura del tempo).
E così, lo storico Cesare Cantù pubblicò nel 1838 il racconto storico Margherita Pusterla, pervaso di un cupo pessimismo e privo di qualsiasi lieto fine: moriranno Margherita, Francesco e i figli; morirà, infine, Luchino; moriranno i malvagi e i buoni. Non c'è da meravigliarsi: il Cantù scrisse il suo racconto qualche anno prima, nella solitudine delle prigioni austriache, usando il fumo di candela come inchiostro, gli steccadenti come penna e carte straccie, dategli per altri usi. E fu un successo.
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I 100 castelli Novara: per maggiori informazioni e una bibliografia completa

venerdì 7 novembre 2014

I Lagoni di Mercurago

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Questo è un luogo fatato. Ci venivo spesso, quando abitavo qui vicino. Mi sedevo sulla panchina di legno e osservavo le acque del lagone brillare al sole. Lasciavo i pensieri in libertà e mi sentivo felice.
Sono sicura che tra i tronchi degli alberi e le foglie sui rami un unicorno e qualche folletto mi stessero osservando.
Un luogo magico che ha un nome lunghissimo, Parco naturale dei Lagoni di Mercurago. Si trova sulle colline moreniche alle spalle di Arona e occupa una vasta area verde - fatta di boschi, prati, pascoli, torbiere, stagni e paludi di origine glaciale. È come un reame a sé, dai confini verdi, adagiato sul territorio di molti comuni: per raggiungere un paese da un  altro, però, è impossibile attraversarlo, se non a piedi e prendendosi tutto il tempo necessario. Qui dentro la frenesia svanisce, perché si entra in un'altra dimensione.
È uno dei miei luoghi dell'anima e ogni volta tornarci è un po' come tornare a casa. Qui mi sento riconosciuta dagli alberi, coccolata dai profumi della natura, abbracciata dai colori in divenire.

Col sole alto e l'aria tiepida, domenica scorsa ci siamo regalati una passeggiata lungo il sentiero delle zone umide. Un percorso breve ma molto affascinante.
Siamo saliti al parco dall'entrata di Dormelletto - la mia preferita, perché la salita è lunga e sembra infinita e quando arrivo finalmente in piano, sono ripagata dalla bellissima vista: all'improvviso il paesaggio si apre sulla distesa verde di un grande prato e, poco più in là, sulla distesa liquida e multicolore del lagone.

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Che silenzio. Sembra un luogo sacro, qui non si può far altro che ammutolire e osservare: le scie degli uccelli sull'acqua, le onde morbide e rilassate, i colori del cielo rispecchiati sulla superficie, i canneti che ondeggiano quando qualche uccello prende il volo. Regala una pace e un senso di gioioso benessere, come mai da nessun'altra parte ho trovato. Facile trovare persone in piedi sul bordo del lagone, ferme con gli occhi persi nell'assoluta bellezza ed eternità di questo luogo.
Il Baldo, il marito e io non siamo stati da meno (il Baldo, forse, era meno colpito da tanto spettacolo e più interessato alle numerose informazioni olfattive di flora e fauna).
Dopo qualche minuto di contemplazione, abbiamo lasciato il lagone sulla nostra destra e imboccato il sentiero delle zone umide. Abbiamo incontrato... 

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... personaggi delle fiabe mimetizzati,
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piccoli draghi trasformati in rami secchi,
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tappeti di foglie dorate intessuti dalle fate,
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un ponticello di legno sul confine tra il regno fatato e il mondo dei cavalli.
E poi pascoli, galoppatoi, staccionate, un cavallo trasformato in pietra da un mago dispettoso, e là in fondo il cancello per tornare alle stalle, al caldo e al sicuro.

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Al di là degli steccati e delle siepi di ligustro e biancospino (necessari per tener lontano i folletti impertinenti), ancora echeggiano gli zoccoli dei cavalli di razza Dormello-Olgiata, famosi in tutto il mondo - hai presente Ribot? Sono stati allevati  dal Mago di Dormello, Federico Tesio, che all'inizio del Novecento ha scelto questi pascoli per l'aria umida, il terreno asciutto e una leggera pendenza che irrobustisce la muscolatura dei campioni.

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Il sentiero è circolare e sbuca davanti al lagone - siamo arrivati giusto in tempo per ammirare i colori del tramonto.
Una passeggiata breve, è durata circa un'ora e mezzo - ma qui il tempo è abituato a fermarsi, per millenni, cent'anni o anche solo una manciata di ore.

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