venerdì 25 novembre 2016

Sul lungolago di Ispra, come in un libro d'immagini

È domenica, forse sta uscendo il sole. A distanza di quasi un anno, continuiamo la nostra passeggiata sul lungolago di Ispra: non più scogli bianchi e alte fornaci, ma porti, giardini e panchine.

Passeggiare sul lungolago di Ispra è come sfogliare un libro d'immagini: giri una pagina e ti ritrovi in un nuovo paesaggio, assapori una nuova atmosfera, provi nuove emozioni.

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Parcheggiamo dietro la chiesa di San Martino e prendiamo la scalinata che dal centro del paese porta direttamente al lago. Si chiama Ripa Solitaria: scalini in discesa, bagnati dalle recenti piogge e coperti da larghe foglie arancio (già mi vedo per terra!); a un tratto rimane solo la discesa, mi aggrappo al corrimano - che improvvisamente sparisce.
Giungiamo (indenni) sulla Strada dell'Amore e svoltiamo a sinistra verso il porto, pronti per iniziare la nostra passeggiata.

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Si gira pagina.
Su questo tratto di lungolago incontriamo una serie di panchine colorate (viola, giallo, arancio, turchese): se vuoi, puoi fermarti e giocarci a dama, scacchi, tris, battaglia navale, filetto! E subito penso ad altre panchine: di pietra, fuori dalle chiese, con lo stesso motivo del gioco del filetto inciso sulla superficie secoli fa - non tanto per divertirsi, quanto per intraprendere un viaggio spirituale...
Incontriamo porti e rivi, salici piangenti e rive erbose. Incontriamo tanti cani a spasso con le loro famiglie. Incontriamo tanti bidoni (non cestini, bidoni) della spazzatura e cartelli che segnalano dove ci troviamo e dove potremmo andare se solo volessimo.

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Di nuovo, si volta pagina.
Davanti a noi un nastro di ghiaia si svolge tra cespugli di bacche. Oltre il muretto una breve spiaggia, un canneto piumato e, infine, il lago. Seguiamo il percorso fino in fondo, contro il muro di cinta di Villa Quassa: siamo arrivati a Ranco. Qui due possibilità: giù a destra o su a sinistra.

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Svoltiamo a destra, rasentiamo il muro verso il lago e ci troviamo in una nuova pagina.
Nessun sentiero, solo un piede di cemento alla base del muro, qualche scoglio nero, una spiaggia di conchiglie, un gruppo di gabbiani e due cigni.

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Torniamo indietro, prendiamo la stradina in salita, chiusa da due muri umidi e sbuchiamo... in un'altra pagina! 
A tutto campo l'entrata monumentale di Villa Quassa e, sul fianco, il sentiero che conduce al Parco del Golfo della Quassa.

Chiudiamo il libro, per ora.

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giovedì 17 novembre 2016

Milano di corsa

Dove vanno a finire i milanesi la domenica? 
Me lo chiedo mentre attraverso di corsa Piazza della Repubblica. Il lavoro mi porta a Milano nel fine settimana: ci arrivo presto e ne parto tardi, ogni volta a orari diversi e con treni diversi.
Le stazioni sono sempre piene, la stessa gente impegnata a cercare binari, amici, informazioni. Quando esco all'aria aperta, ho gli occhi golosi d'assaporare novità.

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Mi piace camminare in città, la mattina filtra tra le gocce di pioggia, la gente di sabato è ancora veloce, puntata verso gli impegni di lavoro, non si ferma, non guarda, parla al telefono, ascolta la musica, cammina persa nei pensieri verso gli obiettivi del giorno.

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Di domenica, invece, rimangono solo i viaggiatori: con le valigie su rotelle percorrono la  mia stessa strada al contrario. Qualcuno si ferma e mi chiede dov'è la stazione, poi mi sorride in spagnolo, francese e inglese. 
Ma i milanesi, dove sono? Li vedo correre infilati in tutine lucide e attillate, sudano concentrati, senza nulla negli occhi e la musica nelle orecchie. Corrono sui marciapiedi di città accanto alle macchine e ai tram. Li vedo trasportare sacche sportive, inseguiti da figli ciarlieri ed eccitati per l'imminente gara (calcio? Equitazione? Pallacanestro? Judo?) in cerca della macchina parcheggiata qualche isolato più in là.

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Li vedo sdraiati sotto i portici, circondati da borsoni, avvolti in bozzoli di coperte e cartoni. Si preparano un caffè, fumano la prima sigaretta, ripiegano e mettono via i propri averi, non parlano e non mi vedono. Forse non sono milanesi o forse sì.

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Il buio della sera addolcisce le strade e nasconde gli inganni, a tal punto che per entrare in stazione attraverso un ingresso "privato" (puzza di urina, corpi barcollanti, qualche folle risata, brontolii persi): giuro di non farlo mai più. Arrivo al binario, salgo sul treno e in mezzo ad altri viaggiatori continuo a farmi la stessa domanda: dove vanno a finire i milanesi la domenica? 
Forse da noi, al lago. Forse rimangono a casa, finalmente fermi. Forse visitano mostre, musei, gallerie o si perdono nel bagliore dei negozi. 
Non lo so, e da questo mi accorgo quanto io non sia cittadina.

Buon vento

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